24 Febbraio 2025

La vittoria di Merz nelle elezioni tedesche. E nella storia recente la prova dell’Europa è stata una costante per tutti i cancellieri. Ma per l’Italia Merz offre una grande opportunità, soprattutto per la sintonia con i conservatori sulla gestione degli immigrati

Friedrich Merz sarà il sesto cancelliere federale cristiano-democratico del Dopoguerra. E come già successe con i suoi predecessori, è anche sull’Europa, sul ruolo che egli vorrà e saprà dare alla Germania nella costruzione comune, che si misurerà la sua capacità di elevarsi alla dimensione dell’incarico. È stata una costante della recente storia tedesca, che un cancelliere, di qualunque appartenenza, si trovasse davanti a una sfida europea e la superasse: Adenauer, Brandt, Schmidt, Kohl, Schröder, Merkel.
Le eccezioni confermano la regola: Ludwig Erhard, che pure fu il padre dell’Economia sociale di mercato ma non lasciò traccia da cancelliere; Kurt Kiesinger, incolore capo della prima Grande Coalizione; da ultimo l’amletico e inconcludente Olaf Scholz.
Merz appare deciso a giocare la partita: «In questa Europa, la Germania deve avere un ruolo di guida. Dobbiamo assumerci la responsabilità e io sono pronto a farlo». Cosa significhi concretamente, possiamo solo ipotizzarlo. Deputato europeo dal 1989 al 1994, Merz è favorevole a una più forte integrazione, anche se il suo approccio è più intergovernativo del suo maestro, Wolfgang Schäuble, celebre come gran sacerdote dell’austerità finanziaria, ma anche teorico dell’Europa politica.

Il futuro cancelliere vuole forgiare nuove alleanze a partire dal triangolo di Weimar — Francia, Germania, Polonia —, allargandolo non solo a Italia e Spagna ma anche ai Paesi baltici e nordici. Consapevole che l’unanimità, offrendo a ogni singolo Stato un indebito potere di ricatto, mortifica la capacità decisionale dell’Europa, Merz è aperto alla formula dei Paesi volenterosi che si uniscono e vanno avanti su un tema, fossero l’aiuto all’Ucraina, la difesa europea o il fondo di investimento per l’intelligenza artificiale.
Fiscalmente considerato un falco, Merz in realtà si sta muovendo: in Germania si è detto pronto a discutere la riforma, se non l’abolizione della Schuldenbremse, il freno al bilancio che limita il deficit strutturale annuale allo 0,35% del Pil e che ha bloccato investimenti critici nelle capacità strategiche del Paese. In Europa, dopo aver appoggiato il Next Generation Eu, sembra aprire a nuove forme di finanziamento comune, in primis un programma europeo per la difesa.

Ma c’è un altro dettaglio interessante, per uno che è stato capo dell’Atlantik Brücke, tempio dell’atlantismo tedesco. Merz, infatti, considera «ridicolo» che l’80% delle spese militari dell’Europa sia effettuato all’estero. «Gli europei — ha dichiarato — devono per prima cosa combinare i loro acquisti per la difesa per costruire un mercato dei prodotti militari abbastanza forte da ridurre la loro dipendenza, in particolare da quello americano». È un modo diverso di definire «l’autonomia strategica» cara a Macron.
Suonano conferma di questa evoluzione, le parole pronunciate da Merz alla Conferenza di Monaco, dopo che il vicepresidente americano, J.D. Vance, aveva strigliato gli europei con il suo surreale discorso sulla «minaccia interna»: «Se non ascoltiamo ora le sveglie che ci vengono date, potrebbe essere troppo tardi per l’Europa».
E l’Italia? Per Giorgia Meloni, un cancelliere Merz offre una grande opportunità. La maggior sintonia conservatrice, in particolare su temi come l’immigrazione, può favorire un riavvicinamento anche sul resto, dopo il vuoto pneumatico, al limite dell’incomunicabilità, che ha caratterizzato i rapporti della presidente del Consiglio con Olaf Scholz. Saprà approfittarne?

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