ESTERI
Fonte: La Stampa
Esclusa la conferma di Rajoy. Prove di intesa a sinistra con l’ipotesi di un esecutivo guidato dal socialista Sanchez con l’appoggio di Podemos, Izquierda Unida e dei nazionalisti
Un mese fa la Spagna andava alle urne: sin da quella domenica notte ci si accorse che il Paese era difficilmente governabile, e da allora in fondo non è cambiato molto. Le ipotesi restano tutte sul tavolo, ma i veti incrociati impediscono di trovare i numeri in parlamento. Tra i corridoi dei palazzi le voci si rincorrono: una conferma di Rajoy con i voti (o l’astensione) del Psoe viene esclusa da tutti (nemmeno il Re ci spera più, a quanto pare). Dalla settimana prossima il sovrano, con tutta probabilità, darà l’incarico all’attuale premier, ma il tentativo è destinato a fallire. A quel punto si apriranno ufficialmente i giochi e se in due mesi non si trova una soluzione si tornerà alle urne. (I possibili scenari )
PIU’ VICINO L’ ACCORDO PODEMOS-PSOE
Oggi l’ipotesi più concreta è quella di un governo di sinistra, simile a quello del vicino Portogallo, guidato dal segretario socialista Pedro Sánchez , con l’appoggio di Podemos, Izquierda Unida e dei nazionalisti (Paesi Baschi, Canarie, Asturie). Per avere la maggioranza assoluta, però, serve anche l’astensione dei partiti indipendentisti catalani, Esquerra Republicana e Democràcia i lliberat (l’antica Convergencia), un appoggio che, in tempi di processo secessionista avviato, solo a nominarlo fa scattare polemiche fortissime. La soluzione portoghese non trova fan neppure in Europa, che, ogni volta che può, ricorda a Madrid gli impegni da onorare.
La premessa di tutto è trovare un accordo tra i socialisti e Podemos. Il movimento di Pablo Iglesias sembra aver sfumato le sue condizioni, come il referendum catalano, “non ci sono linee rosse, non possiamo essere d’accordo su tutto”, dice il numero due Iñigo Errejon. Ma il leader socialista Sánchez ha anche un problema in casa: una buona fetta del suo partito, controllato dai colonnelli delle regioni del centro sud (Estremadura e soprattutto Andalusia), non vuole un accordo con Podemos “sarebbe un’ammucchiata” ripetono sin dalla notte elettorale.
LA SPACCATURA DI PODEMOS
Una spaccatura interna la sta vivendo anche Podemos. La chiave del successo alle elezioni di Pablo Iglesias era stata la alleanza con i movimenti regionalisti in Galizia, Catalogna e Valencia. Per convincere queste forze a presentarsi insieme, era stata decisiva la promessa di formare gruppi parlamentari autonomi (uno per ogni componente). Ma il resto dei partiti del parlamento spagnolo ha detto no e dentro la coalizione degli ex indignados è scoppiata una mezza rivolta. A quel punto la soluzione trovata è stata un gruppo federato, ma non si è potuta evitare la prima mezza scissione: quattro deputati di Compromis, il partito di Valencia, si sono iscritti al gruppo misto. Così i 69 seggi di Podemos (e alleati) ancora prima di cominciare sono diventati 65.
CERCANDO UN MARIO MONTI SPAGNOLO
Nell’ombra lavorano in tanti, le voci corrono senza sosta. Quelle più accreditate, anche negli ambienti della diplomazia, dicono che dallo stallo si potrà uscire con una figura istituzionale che prometta una riforma della costituzione e la soluzione del problema catalano, una sorta di Mario Monti spagnolo, apprezzato all’estero e autorevole in patria, i nomi che circolano per ora sono due, uno socialista, Javier Solana, già Alto rappresentante della politica estera dell’Ue ed ex segretario generale della Nato, e uno popolare, José Manuel García Margallo, attuale ministro degli esteri spagnolo, che gode di consensi bipartsan.