Con Trusk (Trump più Musk) si apre una nuova epoca. E ci saranno ricadute anche sulle democrazie e sull’Europa
Come sarà il mondo nell’epoca Trusk? Temo che sbagli chi pensi, anche tra i sostenitori europei, che gli impegni di radicale trasformazione dell’assetto dello Stato e delle relazioni internazionali dell’America, promossi da Trump con il sostegno di Musk, siano solo boutade furbacchione di campagna elettorale, buone per accalappiare i voti popolari e buone per essere messe nel cestino stracolmo delle promesse tradite dai candidati alla presidenza degli Usa. In fondo, ho ascoltato dire da molti, nel primo quadriennio, un’era fa nel frenetico tempo digitale, cosa è cambiato? Sì, cose come la revoca degli accordi sul clima e il sabotaggio del Medicare di Obama con manovre che produssero più di due milioni di persone senza assicurazione sanitaria. Ma in altri campi, di politica finanziaria o di relazioni internazionali, non si sono visti allora significativi e radicali cambiamenti tra le diverse amministrazioni.
Credo però che stavolta sarà diverso. Credo che lungo l’asse del pensiero millenarista di Musk e delle suggestioni apocalittiche di Bannon, conosceremo un tempo di cambiamenti sostanziali, non di continuità. Sarà così, lo stiamo vedendo, in Ucraina e sarà interessante seguire le contorsioni della politica europea nel momento in cui Zelensky sarà lasciato solo e ci si affiderà al self control espansionistico di Putin nella speranza che non intenda andare oltre le conquiste militari già acquisite o in rapida acquisizione.
Il mondo non è più nell’equilibrio del passato e tutto è possibile. Putin lo ha lucidamente capito, parlando della inedita condizione geopolitica e coltivando l’idea di una nuova grandezza russa con la costituzione di una potenza euroasiatica in grado di competere con il colosso cinese.
Il mondo cambia i suoi equilibri e in questo contesto il processo di depotenziamento dell’Unione Europea, corrosa dai sovranismi e dai nazionalismi populistici animati negli stati membri, è funzionale a una strategia di ridisegno dei rapporti di forza, economici e finanziari. Se la Nato sarà più debole, se le strategie di autentica integrazione europea — le politiche di difesa e di bilancio — saranno messe sul binario morto, si affermerà la prospettiva di un mondo fatto di tre fortezze, la Russia, la Cina e gli Usa alimentate delle debolezze degli altri mercati e di stati nazionali fiaccati dai dazi e costretti a trattare uno per uno con i grandi arbitri le proprie condizioni di sicurezza e di scambio. Lo ha detto con grande chiarezza Steve Bannon nella illuminante intervista di Viviana Mazza: «Sì, i dazi stanno arrivando, dovrete pagare per avere accesso al mercato Usa. Non è più gratis, il libero mercato è finito». C’è, pure a destra, poco da ridere e poco da festeggiare, anche per il tono aggressivo e intimidatorio usato nei confronti di chi presiede il governo del nostro paese.
Credo dunque che la strategia del blocco Trusk sia più ampia e debba essere considerata per quello che è, senza presuntuose riduzioni a folclore di una linea che è nutrita di analisi, mezzi, intenzioni chiare.
Si è fatta strada, Musk non fa che ripeterlo, l’idea che la democrazia, come meccanismo fondato sul voto popolare e sull’intermediazione rappresentata dalla delega, a cominciare dai Parlamenti, sia un orpello pesante e incongruente per una società dell’istante come è diventata quella digitale. Da questo punto di vista è paradossale che la critica della globalizzazione si appoggi però sul postulato che l’unica dimensione universale consentita è quella dei mercati tecnologici, almeno nella sfera del consumo e nelle dinamiche comunicativo relazionali con i social elevati a camera globale. Musk ha sostenuto recentemente che giornali e televisione non servono a garantire comunicazione, che l’unica verità possibile sia quella prodotta da decine di milioni di persone che nello stesso tempo immettono in rete punti di vista e notizie, poco conta se fondati o no sulla realtà. Centomila che diventano nessuno e uno, uno solo, che decide.
Lo schema è lo stesso che si applica in politica: consentire un confuso rumore di fondo, non importa quanto critico, mentre un uomo della provvidenza assume decisioni in nome del popolo. Allo stesso modo sui social gli algoritmi regolano i rapporti di forza tra i singoli isolati e le macchine sofisticate che inondano di news, reali o inventate, la rete nella quale si consuma il bisogno di conoscenza e l’illusione di relazione. Depotenziata la comunicazione, imbrigliata la magistratura, diffusa e legittimata l’intolleranza con parole ieri impronunciabili, ci si ritrova laddove il blocco Trusk ha onestamente detto agli elettori di voler andare: verso un mondo diverso. Non si può rimproverare furbizia o mascheramento delle intenzioni. I Trusk hanno detto con nettezza la loro strategia e su quel progetto hanno ottenuto un inequivoco successo elettorale.
Fast and furious. Il primo martedì di novembre non hanno vinto i repubblicani, sta nascendo qualcosa di più: un progetto di potere per questo tempo rivoluzionario.
Balbettare flebilmente la ripulsa di tutto questo in nome del politicamente corretto o discutere appassionatamente se si debba, a sinistra, essere più moderati o più estremisti, è un diletto per perditempo.
Roosevelt, con Mussolini al potere e la grande depressione in casa, non organizzò un flashmob, inventò il New Deal.