Il modello americano può indebolire le polarizzate democrazie europee
Le democrazie occidentali sono vasi comunicanti. È poco plausibile che quanto accade al vaso più grande non abbia ripercussioni sugli altri. La vittoria di Trump è stata commentata dagli europei soprattutto per le sue potenziali ripercussioni sui rapporti fra Europa e Stati Uniti (guerra in Ucraina, dazi, sicurezza europea). Ma quanto accade in America può influenzare le democrazie europee anche in un altro modo. È da più di un decennio che gli osservatori rilevano la crescente polarizzazione della democrazia americana. Si è constatato l’allontanamento di frazioni rilevanti dell’elettorato dal centro dello schieramento, la loro fuga verso le estreme (di destra e di sinistra). I faziosi-partigiani delle due estreme, tipicamente, accusano la parte avversaria di estremismo. Ma la polarizzazione politica è come l’amore di coppia: richiede due protagonisti.Il Maga (Make America Great Again), il movimento dei trumpisti duri e puri, è la controparte del movimento per il disarmo della polizia, delle rivolte dei campus, della cultura woke. Gli estremismi si alimentano a vicenda, l’uno ha bisogno dell’altro per crescere. È sempre stato così per tutti i fenomeni fin qui registrati di polarizzazione/ radicalizzazione politica nelle democrazie.
La combinazione fra indebolimento della leadership americana nel mondo (un fenomeno in atto da tempo) e di polarizzazione politica all’interno degli Stati Uniti, si è accompagnata a un aumento della polarizzazione in seno a diversi Paesi europei. Consideriamo i casi della Francia, della Germania e dell’Italia. In Francia l’elettorato ha ora premiato le estreme, i lepenisti a destra, Mélenchon a sinistra. In Germania al grande successo elettorale del movimento di estrema destra (Alternative für Deutschland) si accompagnano gli eccellenti risultati di una sinistra altrettanto estrema (il Bsw, Ragione e giustizia). La differenza fra i due Paesi è che mentre la Francia, dopo la Seconda guerra mondiale, ha conosciuto l’alternanza fra fasi di maggiore e di minore polarizzazione e, per conseguenza, di maggiore o minore instabilità, la Germania, memore della disastrosa esperienza, fra le due guerre mondiali, della Repubblica di Weimar, ha a lungo bloccato le tentazioni estremiste.
L’Italia fa storia a sé. Perché da noi, a partire dalle elezioni del 1948, la polarizzazione politica è sempre stata assai elevata. L’ondata terroristica degli anni Settanta lo testimonia drammaticamente. Dopo la Guerra fredda, in un’epoca favorevole alla riduzione delle tensioni, l’Italia si è mossa in controtendenza, ha conosciuto i ferocissimi conflitti politici collegati all’ascesa di Silvio Berlusconi. La divisione fra berlusconiani e antiberlusconiani assunse i toni dello scontro di civiltà. Sostituendo quello, degli anni della Guerra fredda, fra comunisti e anticomunisti.
Non sembra che le cose possano cambiare. Basta considerare quanto acuti siano in questo momento i conflitti fra magistratura e governo o fra la Cgil e il governo, per rendersi conto che l’Italia non sembra disposta ad abbandonare le proprie (poco sane) abitudini. Anche il forte astensionismo elettorale — segno di disaffezione per il gioco democratico — può contribuire alla polarizzazione/radicalizzazione: la tentazione di adottare posture estremiste è forte quando si cerca di recuperare gli astenuti.
La nuova fase di polarizzazione politica entro le democrazie europee coincide con un’epoca in cui i vecchi ancoraggi internazionali sono venuti meno. Quando la leadership americana era forte e i presidenti degli Stati Uniti (democratici o repubblicani) erano espressi da una società non radicalmente polarizzata, le democrazie europee erano protette e sorrette dall’ordine internazionale in cui erano inserite. Nell’era Trump tutto ciò è svanito. Le democrazie europee hanno oggi molti meno strumenti di quelli di cui disponevano un tempo per difendersi da se stesse, dalle spinte distruttive che si manifestano o possono manifestarsi al loro interno.
Per la regola dei vasi comunicanti, l’esempio americano può contribuire a indebolire le polarizzate democrazie europee.
Come difendersi? Dovunque ci si giri si sentono invocazioni di «più» Europa, una accelerazione del processo di integrazione europea per fare fronte al venir meno della protezione americana. Ma sono parole al vento se e fin quando, per lo meno, non avrà risolto la sua crisi politica la Germania, come ha giustamente osservato Paolo Valentino (Corriere, 18 novembre). Se la Germania non riacquista stabilità sotto una leadership convintamente europeista, trascinandosi dietro altri Paesi, gli europei persevereranno nel piccolo cabotaggio. Come mostrano le lotte, ora risolte ma che annunciano altri conflitti, intorno alle vice-presidenze della Commissione, gli europei sembrano felicemente ignari di quanto accade intorno. Continueranno a giocare fra loro a Risiko mentre i boschi che li circondano prendono fuoco. Non si dà nessuna possibilità di rilanciare l’integrazione europea senza governi stabili e forti nei principali Paesi europei. Stabilità e forza che però sono difficili da ottenere a causa della polarizzazione/radicalizzazione di settori rilevanti degli elettorati.
L’auspicio è che in questo frangente, le componenti più responsabili delle maggioranze e delle opposizioni nei vari Paesi europei, comprendendo il pericolo, si sforzino di contrastare le spinte estremiste all’interno dei rispettivi campi politici. Nei prossimi anni, dato il quadro internazionale che si sta delineando, le democrazie europee (alcune di loro) potrebbero correre dei rischi. Non dare per scontata la sopravvivenza della democrazia è il modo migliore per tutelarla.