20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

Dopo le sconfitte per il M5S si pone il problema dell’alleanza con il Partito democratico e della collocazione in Europa


La parola d’ordine è «primum vivere». E già questo dice quanto il Movimento Cinque Stelle cominci a temere per la sua stessa esistenza dopo i risultati delle Regionali di domenica scorsa. Ma sul modo migliore per sopravvivere, la confusione è identica alla fase preelettorale. L’insistenza con la quale si esclude una scissione finisce per accreditarla come il possibile epilogo delle tensioni. E la competizione, non è chiaro quanto fondata, tra seguaci del premier Giuseppe Conte e dell’ex capo politico e ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aggiunge incertezza.
Anche perché rischia di cristallizzare il contrasto sulla linea da tenere: rispetto al governo e alle alleanze. Il tentativo di una parte dell’ala ministeriale è di avvicinarsi progressivamente a intese col Pd per le elezioni di primavera, cercando di non perdere pezzi. L’operazione si presenta complicata. Ognuno declina il «primum vivere» a proprio modo. E l’impressione è che per alcuni significhi mantenere un profilo «terzo», sebbene sempre più precario, tra il Pd e la destra a guida leghista.
L’esito del voto di domenica dimostra l’inadeguatezza di questa scelta. Ma la prospettiva di un patto col partito di Nicola Zingaretti rimane solo una delle opzioni. Il ministro per le politiche giovanili e lo sport, Vincenzo Spadafora, non esclude che «si possa decidere di fare alleanze, anche con delle liste civiche». Si tratta di una cauta apertura a sinistra, offerta a un Movimento costretto a presentare propri candidati ma spaventato dalle percentuali a una sola cifra ottenuti finora. Il timore di irritare una parte della nebulosa grillina e accelerare spinte centrifughe non consente di andare oltre.
Per questo dal vertice si martella sull’esigenza di scongiurare scissioni che «non hanno mai portato bene». Senza una chiarezza su quello che i Cinque Stelle pensano di fare e di diventare, però, l’appello suona come un «serrate le fila» d’ufficio. Come minimo comune denominatore sembra esserci l’appoggio al governo Conte. Ma l’obiettivo appare insieme troppo ambizioso e troppo riduttivo. Troppo ambizioso, perché il 2023 è lontano; e senza una vera strategia, l’esecutivo è destinato a trascinarsi in una logica di ordinaria amministrazione.
Troppo riduttivo, perché la continuità del governo non può essere un fine: se non per quanti hanno come obiettivo solo quello di evitare elezioni anticipate che falcidierebbero i parlamentari del M5S. Dietro a una discussione confusa e nervosa si indovina il vero tema: l’identità di un Movimento passato in due anni da un profilo antisistema a quello di forza di maggioranza relativa; e incapace di esprimere una classe dirigente all’altezza. Si tratta di chiarirsi le idee sia sull’Italia, sia sulla collocazione europea del Movimento: un limbo che dura da troppo tempo, e che per il grillismo si sta rivelando una trappola.

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