Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
Dopo la svolta delle elezioni francesi, l’Italia dovrebbe lavorare per ritagliarsi un ruolo nuovo e importante negli equilibri europei, ma le nostre condizioni economiche e istituzionali difficilmente ce lo permetteranno
Subisce una decisa battuta d’arresto la «sequenza infernale» cominciata con Brexit, proseguita con la vittoria di Trump e con la conferma (esito del referendum costituzionale) che in un Paese-chiave dell’Europa e del mondo occidentale, l’Italia, non possono attecchire istituzioni in grado di dare un po’ di stabilità ai governi. Marine Le Pen prende tanti voti ma molti di meno di quelli che ci si poteva immaginare solo poco tempo fa, quando una sua vittoria non era data per probabile ma per possibile sì. La sua netta sconfitta, salvo sorprese, dovrebbe riverberarsi sulle elezioni parlamentari di giugno (con un effetto deprimente e respingente anziché di trascinamento dell’elettorato). È probabile che dopo quelle elezioni Macron dovrà accettare di formare un governo di coalizione con ciò che resta dei partiti storici francesi (socialisti e/o gollisti) annacquando un po’ il suo programma. Il rischio più grave che corre l’Europa adesso è quello di sedersi, congratularsi con la Francia e brindare per lo scampato pericolo, e non fare nulla, non riformare nulla.
Tutto questo come se i problemi che negli ultimi anni hanno permesso all’antieuropeismo di gonfiarsi nel Continente non fossero ancora lì. Sospiri di sollievo a parte, le attese che circondano il neopresidente francese appaiono piuttosto esagerate. Un presidente liberale ed europeista è una buona notizia. Come lo è il fatto che la sconfitta di Le Pen sia un colpo per tutti i protezionisti-sovranisti d’Europa. Ma non conviene immaginare chi sa quali radicali cambiamenti. Certamente la Francia, con il suo nuovo presidente, avrà l’ambizione di ricostituire quell’asse franco-tedesco che fu il motore dell’Europa per decenni. Comunque vadano le elezioni tedesche del prossimo settembre, la speranza francese è destinata a essere frustrata. Macron non riuscirà a ricostituire il «governo» franco-tedesco dell’Europa, come non ci sono riusciti alcuni presidenti (come Sarkozy) che lo hanno preceduto. La Germania è troppo forte, lo squilibrio di potenza fra Germania e Francia è troppo accentuato, perché i vecchi tempi possano ritornare. Resta il fatto che ci proverà. Il che solleva la domanda su quale ruolo dovrà cercare di ritagliarsi l’Italia nel nuovo gioco che sta per aprirsi in Europa. Sulla carta l’Italia dovrebbe essere avvantaggiata dall’uscita della Gran Bretagna. Potrebbe occupare stabilmente la posizione del «terzo», traendo beneficio dalla possibilità di manovrare fra Germania e Francia. In pratica, le sue tradizionali debolezze interne ne riducono le potenzialità.
C’è, innanzitutto, e come al solito, la palla al piede rappresentata dal debito pubblico. Ha sempre ridotto in Europa i nostri margini di libertà e la nostra autorevolezza. Continuerà a farlo. C’è poi, soprattutto, la nuova fase di instabilità e di ingovernabilità politica che si apre davanti a noi. Ormai è chiaro che ci terremo per chissà quante altre generazioni ancora la democrazia acefala a cui siamo da sempre abituati (fatta salva la parentesi di imperfetti esperimenti semimaggioritari durata circa un ventennio): un parlamentarismo congegnato in modo da assicurare governi instabili e precari, primi ministri deboli e ricattabili, una legge elettorale proporzionale senza neppure più i partiti forti di un tempo. Certo, quando, come in questo frangente, si vedono all’opera le istituzioni francesi, con la loro capacità di produrre stabilità politica e leadership solide, l’invidia è forte. E molti sognano di importare anche da noi qualcosa di simile. Ma è impossibile. Ricordo un tale, un uomo adulto e apparentemente raziocinante (il quale si limitava a ripetere argomenti della propaganda allora corrente), che, in mia presenza, prima del referendum costituzionale, paragonò la proposta di superamento del bicameralismo paritetico niente meno che alla marcia su Roma. Come pensate che potrebbero reagire simili lucidissimi cervelli di fronte a una proposta presidenzialista di tipo francese? Qui è già molto se riusciremo (sempre che la Corte costituzionale non abbia da ridire) a mettere nella legge elettorale proporzionale con cui presto voteremo un misero sbarramento elettorale del tre per cento: una foglia di fico che non frenerà in nessun modo l’instabilità politica ventura. Le istituzioni che abbiamo, generando ingovernabilità, ci tolgono la possibilità di svolgere un ruolo «pesante», ossia efficace e autorevole, in Europa. Ma il Parlamento non se ne preoccupa. Tanto meno se ne preoccupano quelle forze, amministrative e giudiziarie, che hanno interesse a che la politica in Italia sia sempre debole, sottomessa, ricattabile.
C’è un altro elemento di preoccupazione. Uno dei grandi sconfitti delle elezioni francesi è Vladimir Putin. Al primo turno egli poteva contare su ben tre candidati filorussi (Fillon, Le Pen, Mélenchon). Ha vinto il politico da lui più lontano, il meno amichevole di tutti.
Cercherà di rifarsi in Italia. Si spera che in vista delle prossime elezioni i servizi di sicurezza vigilino per ridurre al minimo le interferenze russe (che, probabilmente, ci saranno comunque) volte a favorire i nostri partiti filo-Putin (e, pertanto, antieuropei). Difficilmente potremo permetterci di avere un grande ruolo in Europa. Evitiamo, per lo meno, di diventare terra di conquista.