Fonte: Corriere della Sera
di Mario Monti
La catastrofe attuale accresce la consapevolezza che per problemi globali occorre una governance globale
Da quella sera di dieci anni fa in cui morì d’improvviso sotto gli occhi degli amici per i quali aveva organizzato una ricorrenza, Tommaso Padoa-Schioppa è stato in realtà ancor più presente e vivo di prima, nel pensiero e nell’azione di quanti come lui si sono impegnati per l’Europa e per l’Italia. Trattengo i ricordi personali che mi si affollano nella mente, da quando conobbi Tommaso nel 1962 nelle aule della Bocconi al nostro ultimo incontro a Parigi nel novembre 2010, un mese prima che ci lasciasse. Provo invece a immaginare quale potrebbe essere lo stato d’animo di Tommaso oggi, se rivedesse dopo dieci anni l’Italia e l’Europa.
Credo che sarebbe sorpreso, come tutti noi un anno fa, dalla crisi pandemica. Non sarebbe invece per nulla sorpreso, e comunque ne sarebbe rincuorato, che questa catastrofe stia accrescendo rapidamente, in Europa e nel mondo, la consapevolezza che problemi globali non possono essere affrontati se non con una governanceglobale o almeno, per quanto ci riguarda, europea.
È quello che dagli anni Settanta Tommaso aveva messo in luce nelle sue analisi e sostenuto con le sue proposte. Un’unione monetaria europea era un progetto arduo, ma ineluttabile. I governi e le banche centrali, in molti Paesi, avrebbero opposto fortissime resistenze, non volendo perdere la loro sovranità monetaria. Ma un giorno avrebbero riconosciuto che, per non lasciarsi sottrarre del tutto dai mercati e dagli speculatori quella sovranità che andavano via via perdendo di fatto, sarebbe stato meglio condividerla in un’istituzione comune, la Banca centrale europea.
Questo è avvenuto. E Padoa-Schioppa è riconosciuto nel mondo per essere stato l’architetto forse più lungimirante tra quanti lavoravano per disegnare la Bce, che poi come membro del Comitato esecutivo avrebbe contribuito a rendere credibile nei mercati e rispettata, se non sempre amata, dai politici. Oggi vedrebbe con soddisfazione la capacità dimostrata dalla Banca di reggere alle tempeste finanziarie delle quali fino al 2010 Tommaso aveva visto la fase iniziale.
Più lenta è invece stata l’Europa nel seguire la via, indicata da Tommaso, verso una vigilanza bancaria e finanziaria adeguata a un’unione monetaria. Il cammino è stato intrapreso con anni di ritardo, perché ai governi era mancata la sua lucidità. Oggi, penserebbe, credo: quanti ritardi, eppure la via era così chiara; quanti costi sono gravati sui cittadini per salvare banche non abbastanza vigilate e senza le protezioni necessarie in mercati integrati; e dire che non si è ancora arrivati, pienamente, ad una vera unione bancaria.
Guardando però a quel che la Ue ha fatto quest’anno, sotto l’impulso distruttivo della pandemia, sono certo che Tommaso sorriderebbe. Un vero bilancio pluriennale europeo, con il riconoscimento dell’importanza dei beni pubblici europei, con risorse proprie per finanziarli, con la capacità di emettere titoli della Ue, di fare una politica economica europea per contrastare la recessione… Ci è voluta una crisi terribile, aveva proprio ragione Jean Monnet — penserebbe Tommaso — ma quante cose, che a me sembravano naturali ma ad altri parevano eresie, i miei successori hanno finalmente fatto quest’anno.
Vedendo che proprio l’altro ieri, quasi un omaggio nel decimo anniversario della sua scomparsa, il Parlamento europeo ha suggellato questo bilancio degno di una nuova Europa, Tommaso volgerebbe il suo sguardo più a Sud, all’Italia. Come emergeva spesso dai suoi articoli cartesiani e pedagogici su queste colonne, Padoa-Schioppa era convinto che l’Ue fosse un prezioso stimolo al miglioramento degli Stati membri e in particolare dell’Italia. Si interrogherebbe perciò sulla volontà e sulla capacità dell’Italia di mettere a frutto, trasformandosi per tanti aspetti, il Piano varato dall’Europa.
A questo riguardo, non ho proprio idea di quali opinioni avrebbe oggi. Preferisco prendermi io l’arbitrio di individuare nei pensieri e nelle parole che Tommaso spesso manifestava, tre espressioni rappresentative degli attriti che la personalità di questo italiano-europeo suscitava nella melassa politica tutta-italiana. A volte è stato crocefisso, anche dopo la morte, per l’incauto, ingenuo, impiego di quelle tre espressioni, in un linguaggio di verità che metteva il dito su problemi che gli sono sopravvissuti, intatti.
Vista lunga. Ad essa, ad operare in vista degli effetti di lungo periodo, non delle immediate convenienze, Padoa-Schioppa richiamava tutti i soggetti della politica, italiani o europei che fossero. Ma il fastidio, il senso che costui non fosse al corrente delle «esigenze della politica», emergevano con forza soprattutto in Italia. Forse, il Piano di rilancio e resilienza ci costringerà ad aggiustare la nostra vista, verso il futuro.
Bamboccioni.Dinanzi ad una commissione parlamentare, nell’ottobre 2007, il ministro Padoa-Schioppa disse: «Mandiamo i bamboccioni fuori di casa. Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. È importante». Tema molto complesso, che certo non può essere liquidato con una battuta. E infatti il ministro venne trafitto. Oggi, però, il problema è ancora più grave, più grave che in altri Paesi. La scomunica verbale comminata a Padoa-Schioppa ha consentito per anni di non considerare questo come un problema reale. Che dovrà essere in prima linea, credo, nell’indirizzare le leve del Piano europeo.
Le tasse sono bellissime. Sempre nell’ottobre 2007 — forse non il mese più felice nella comunicazione del ministro — in dialogo con Lucia Annunziata disse: «La polemica anti tasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione e l’ambiente».
Rileggiamo questa frase oggi. Chi contribuisce di più alla formazione di cittadini coscienti? Il Padoa-Schioppa di quel giorno o i molti, moltissimi che dicevano allora e dicono oggi che, sempre e comunque, con le tasse «lo Stato mette le mani nelle tasche degli italiani»?
Mi torna in mente, con nostalgia, una frase di Tommaso quando inaugurò nel 2005 l’anno accademico della Bocconi: «Mi aveva portato qui, nel 1960, la decisione di studiare economia — guidata dalla lettura deIl buongovernodi Einaudi — come quella che poteva venire incontro a interessi e motivazioni disparati e imprecisi: una disciplina scientifica ma anche umanistica, il conoscere e l’agire, la polis e la casa».