15 Gennaio 2025

I rapporti con l’America di Trump, le difficoltà della Ue e la possibilità di aprire una nuova stagione

Il forte legame personale che Giorgia Meloni intrattiene con la nuova amministrazione degli Stati Uniti suscita in Italia molte preoccupazioni. Ci si chiede infatti se un tale legame, insieme alla notoria aggressività di Donald Trump nei confronti della Ue, non possa compromettere il nostro rapporto con Bruxelles. Personalmente una tale domanda mi sembra soprattutto la spia della natura che troppo spesso hanno avuto i nostri rapporti con l’Europa, improntati a una timidezza molto somigliante alla subalternità. Specie a partire dalla riunificazione tedesca — cioè da circa trent’anni, complice anche la progressiva debolezza politica del nostro Paese determinata dalle rovinose scelte d’indebitamento dell’ultima parte del ’9OO — l’Unione europea ha visto un’egemonia di fatto franco-tedesca. In quale misura in tutti questi lunghi anni Parigi e Berlino sono riuscite a favorire la trasformazione della Ue in un effettivo soggetto politico — ad esempio nell’ambito cruciale della difesa e degli affari esteri, cioè ad affrontare la questione chiave per il suo futuro — è materia di forti dubbi. Che spero sia ancora consentito esprimere senza per questo essere condannati alla Geenna dell’antieuropeismo. E tuttavia, come si sa, l’Italia ha sempre accettato senza fiatare la leadership franco-tedesca: a dispetto dei suoi mediocrissimi risultati e nonostante che la Commissione di Bruxelles non abbia mai prestato pressoché alcuna particolare attenzione al Mediterraneo e ai Paesi della sua sponda afro-asiatica; non abbia mai considerato né l’uno né gli altri come un focus significativo della sua azione.
Ora, l’Italia è un Paese essenzialmente mediterraneo, e proprio alla sua importantissima posizione geografica in questo mare — cruciale per i commerci mondiali e per le aree di crisi che su di esso si affacciano — proprio a ciò essa affida la possibilità di avere un ruolo internazionale di qualche rilievo capace di accrescerne il peso politico. Ma come dicevo, dall’Unione europea l’Italia nel Mediterraneo è stata sempre lasciata sola. Infatti, degli altri grandi Paesi dell’Ue che si affacciano su questo mare, la Spagna ha sempre guardato principalmente al grande spazio ispanofono oltreatlantico, mentre la Francia, dal canto suo, a causa della vasta sfera d’influenza di cui fino ieri ha goduto a sud del Sahara, si è considerata a lungo una sorta di potenza africana, orientata in un senso storicamente ostile all’Italia ed esclusivamente ai propri interessi nazionali (vedi il caso della Libia).
Ne è risultato che nel suo spazio geografico elettivo l’Italia non ha mai avuto un partner con cui cercare un’intesa per bilanciare in qualche misura l’orientamento massicciamente centro-settentrionale dell’Unione europea e la conseguente egemonia franco-tedesca, acquistando così più influenza e più potere all’interno dell’Unione.
A suo tempo una soluzione avrebbe potuto essere rappresentata dallo stretto rapporto con l’unico altro Paese di tradizione mediterranea della Ue, cioè la Gran Bretagna. Ma dopo la Brexit la cosa è evidentemente impossibile. Guardando dunque le cose realisticamente, oggi come oggi l’unico partner possibile per un nostro effettivo ruolo nel Mediterraneo si trova fuori dall’Unione europea e sono gli Stati Uniti. Una «special relationship» con gli Usa ai quali potrebbe fare molto comodo potere da un lato contare sulle opportunità per così dire strategiche offerte dalla nostra posizione geografica, dall’altro avvalersi di tutta una serie di rapporti, di canali di comunicazione, di conoscenze e di risorse materiali e immateriali che la nostra diplomazia ha saputo mettere a punto nel corso dei decenni in quest’area.
È ovvio che nell’immediato un simile scenario aprirebbe dei problemi con l’Europa: tanto più se, come sembra, l’amministrazione Trump intendesse davvero aprire un duro contenzioso sia con l’Ue che con i Paesi del vecchio continente facenti parte della Nato. È anche vero, tuttavia, che proprio la probabilissima apertura di un contenzioso di tal genere rende realisticamente necessario e quanto mai opportuno, se non si vuole arrivare a un rottura rovinosa per tutti, che ci sia qualcuno capace di operare da mediatore tra le parti. E perché allora di una simile mediazione non potrebbe farsi carico proprio l’Italia? Giorgia Meloni ha sicuramente le qualità personali di empatia e di comunicazione nonché le capacità politiche che servono per un compito del genere: a cominciare dall’attitudine a costruire la trama di relazioni che permette di arrivare a un risultato positivo.
In due tre decenni l’Europa franco-tedesca si è occupata quasi esclusivamente di istituire diritti ed elargire soldi. Non sono cose dappoco, per carità, ma sull’altro piatto della bilancia c’è il fatto che essa ha mancato tutti gli appuntamenti importanti (tranne forse solo uno, quello dell’acquisto dei vaccini anti Covid voluto dalla von der Leyen). In particolare quelli riguardanti problemi che da mille punti di vista si stanno via via rivelando di sempre maggiore, si può dire di vitale importanza. I problemi elencati a suo tempo da Mario Draghi: l’immigrazione, le telecomunicazioni, l’approvvigionamento energetico e delle materie prime, la politica estera, la difesa, e per finire l’acquisizione da parte dell’Unione stessa di un vero assetto istituzionale di tipo politico, cioè capace di effettive decisioni autonome.
E allora, prima che svanisca per sempre la possibilità per noi europei di avere un futuro ben venga qualcosa, un’iniziativa — e perché no un’iniziativa italiana — la quale faccia entrare aria nuova nelle stanze chiuse di Bruxelles segnando la fine dell’ammuffito potere che vi regna da decenni, cancellando i suoi riti e i suoi miti che ci hanno condotto alla paralisi attuale.

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