EDITORIALE
Fonte: La Stampa
di Gianni Riotta
Isis dall’Iraq alla Libia, offensiva delle milizie filo Putin in Ucraina, con la caduta di Debaltsevo nel Mercoledì delle ceneri dopo la tregua di Carnevale, rivolta fondamentalista islamica contro l’Europa, frenetica trattativa Grecia-Germania sul debito, con il ministro Varoufakis che annuncia di voler «cambiare con un diverso sistema… il ripugnante capitalismo europeo… da marxista vagabondo» ma poi accetta la realtà con Tsipras, come prevedibile, e ora gli tocca vendere l’accordo ai suoi compagni. Viviamo giorni tumultuosi, privi di interpretazioni razionali nel caleidoscopio blogosfera.
Europa e Usa, la comunità che un tempo si chiamava Occidente – ma ha senso oggi un’espressione che il filosofo Spengler giudicava «al tramonto» già nel 1918? –, stentano a ritrovare una strategia efficace nel disordine globale, perché non comprendono come mai, soggetti storici diversi tra loro per motivi e ideali, la Russia di Putin, i ribelli islamici, i populisti, vogliano ribaltare l’ordine seguito alla Guerra Fredda.
Nel tormentato esame di coscienza in corso, compresi i tre giorni di Conferenza sull’estremismo alla Casa Bianca, notate un perenne errore di postura intellettuale. Per decidere, pur in buona fede, sul da farsi ci chiediamo sempre in che cosa l’Occidente abbia sbagliato o sbagli, certi che se solo non avessimo commesso quegli errori, Ordine e Benessere sarebbero ristabiliti per incanto. Destra e Sinistra si dividono sugli «errori» passati, scambiandosi accuse, «Troppo permissivi!», «Troppo repressivi!», insieme ostaggi dell’angustia teorica «Se solo!». «Se solo Bush figlio non avesse invaso l’Iraq», «Se solo i giovani arabi avessero lavoro», «Se solo controllassimo l’emigrazione», «Se solo facessimo guerra a Isis», «Se non avessimo troppo pressato Mosca», «Se avessimo fatto i duri quando Mosca era in ginocchio»…
È pura illusione presumere un nostro controllo totale. L’insorgenza islamica nasce intorno alla Prima guerra mondiale, con intellettuali come al Banna, che detestano il liberalismo europeo cristiano e i regimi coloniali. Putin contesta, e ci riesce benissimo, l’egemonia europea sul continente (con gli Usa è assai più cauto), manda aerei a violare i cieli britannici, rapisce a settembre un doganiere estone (ancora detenuto senza spiegazioni): Europa ed Usa non ne controllano la spinta ancestrale, panslava, che non dipende affatto dalle loro mosse, giuste o sbagliate. Il generale inglese Sir Adrian Bradshaw, numero 2 della Nato, dichiara di aspettarsi un prossimo attacco militare russo contro paesi europei «per guadagnare territorio ai danni dell’alleanza», per esempio occupando Narva, regione russofona dell’Estonia. Contro tale disegno, l’Europa, dalla sconfitta della Costituzione comune del 2005, è classe indisciplinata, zittita a fatica dalla severa Maestra Germania, senza valori condivisi.
Il presidente Obama resta il leader più sincero e facondo della scuola «È colpa nostra, che possiamo fare ora?» e al seminario di Washington ripete che la rivolta islamica si batte con «scuola e lavoro». Giusto ma purtroppo insufficiente, i ribelli non cercano gamelle miserabili di rancio, sono rivoluzionari militanti, spesso lasciano un lavoro o la scuola per la guerra, perché odiano cristianità, democrazia, economia aperta, diritti civili, libere identità sessuali. In breve: odiano noi tutti. Putin, quando la sua economia andava bene e ora che il rublo crolla, non muta strategia. Qualunque cosa faremo, tirerà dritto nell’offensiva.
La domanda da porsi non è dunque, «Che errori abbiamo commesso?», ma «Chi siamo? Per cosa siamo disposti a batterci e sacrificarci?». L’identità disperata russa la vedete nel film «Leviathan» del regista Andrej Zvjagincev, quella dei fondamentalisti nei video sanguinari, ma noi in cosa crediamo? «La visione eroica dei terroristi può essere vinta solo da un’altra, più nobile, visione eroica» scrive, in aperta antitesi con il proprio giornale, il commentatore del New York Times David Brooks. Dove per «visione eroica» non dovete solo pensare alle scene belliche di Clint Eastwood in «American Sniper» ma anche alla civiltà dei musulmani norvegesi che a Oslo danno vita a catene umane di solidarietà, proteggendo le sinagoghe «In nome della fratellanza religiosa».
Putin e gli islamisti sfidando l’ordine mondiale, su diversi fronti, mettono a prova la nostra identità, noi stessi. Un test storico che non si vince con convegni accademici e social media ben pixelati, ma dando prova di virtù acclarate. Oppure si perderà alla fine, dando ragione a Spengler, un secolo dopo, sul «Tramonto dell’Occidente».