Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
Le prospettive del Pd, privo di un leader capace di rischiare e con la forza necessaria per imporre una linea controcorrente al proprio partito
Aspettando i saragattiani. Ovvero, proviamo a esplicitare ciò che, plausibilmente, è già passato per la testa di molti, nel Partito democratico e dintorni. C’è qualcosa di paradossale e di ironico nella parabola di coloro che, per trenta anni, hanno sempre accuratamente evitato di inserire la parola «socialista» nelle denominazioni scelte di volta in volta (Partito democratico della sinistra, Democratici di sinistra, Partito democratico): essi si apprestano, probabilmente, in un futuro non lontano, ad assumere un ruolo molto simile a quello che fu dei socialisti italiani negli anni Quaranta e Cinquanta. E che costò loro (nel 1947) la scissione di Palazzo Barberini, la nascita del Partito socialdemocratico di Giuseppe Saragat. Proviamo a immaginare un plausibile scenario. Prima o poi il governo giallo-verde cadrà. È possibile che nuove elezioni portino alla formazione di un governo di centrodestra egemonizzato da Salvini. I 5 Stelle, parzialmente ridimensionati elettoralmente, diventerebbero comunque il principale partito di opposizione. Ci sarebbe al loro vertice un cambio della guardia. Il leader più adatto per la nuova fase di opposizione, necessariamente barricadera, sarebbe Alessandro Di Battista, «il Chavez de’ noantri». A poco a poco, fra i seguaci dei 5 Stelle, l’attuale esperienza di governo diventerebbe un ricordo sempre più lontano (Di Maio chi?).
Il Partito democratico, una formazione acefala, ossia guidata da una sbiadita oligarchia, priva di carisma, priva di idee, priva di tutto, finirebbe — come accadde ai socialisti nei confronti del Pci negli anni Quaranta e Cinquanta — per ritrovarsi schiacciata sui 5 Stelle. Come «spalla» nell’ipotesi migliore o come ruota di scorta in quella peggiore. Sarà certamente un caso, una sfortunata coincidenza, ma alcune astensioni nelle fila del gruppo Pd nel voto del Parlamento europeo contro il venezuelano Maduro hanno fatto pensare ai più maliziosi che, da quelle parti, qualcuno abbia voluto inviare un segnale discreto, fare un «cenno affettuoso», ai 5 Stelle. Se il suddetto scenario si realizzasse, spetterebbe, probabilmente, al pentastellato Fico il ruolo di «pontiere» o mediatore fra 5 Stelle e Pd. Forse ha proprio ragione Marx: quando la storia si ripete assume tratti farseschi. In quelle condizioni sarebbe molto difficile per i Democratici evitare una scissione «da destra», ossia l’uscita dal partito di quelli che con i 5 Stelle non vogliono avere nulla a che spartire. Proprio come, a suo tempo, i saragattiani nei confronti dei comunisti.
Forse, a quel punto, i fuoriusciti dal Pd si incontrerebbero, a metà strada, con i fuoriusciti da Forza Italia, quelli che, a loro volta, non hanno voglia di essere subalterni alla Lega. In ogni caso, il centro del Parlamento verrebbe occupato da una (plausibilmente) piuttosto folta formazione, distante dal centrodestra ma anche tesa a smarcarsi in ogni modo dalla alleanza di fatto 5 Stelle-Pd. Qualcuno può eccepire di fronte all’idea che una formazione neo-centrista sia in grado di incontrare il favore di molti elettori. Ma è nei sistemi maggioritari, dominati dal bipolarismo (sinistra contro destra), che i partiti centristi, distinti sia dalla sinistra che dalla destra, non hanno chance di successo. Non è più il nostro caso. Ora abbiamo di nuovo la proporzionale e ove vige la proporzionale lo spazio per formazioni di centro, almeno in teoria, c’è. Sarebbe solo, o soprattutto, una questione di leadership. In mano a un leader capace un partito di centro potrebbe attirare moltissimi consensi: i consensi di quelli — e non sono pochi (anche se al momento sono politicamente orfani) — che ne hanno abbastanza degli estremisti di tutti i colori.
Potrebbero i Democratici sfuggire al triste destino sopra indicato? Possibile ma poco probabile. In teoria, ad esempio, essi potrebbero giocarsi alla grande l’occasione offerta dal voto parlamentare sull’autorizzazione a procedere contro Salvini. Se avessero abbastanza fantasia e coraggio potrebbero addirittura mettere ko il governo Conte, costringerlo alle dimissioni. Basterebbe che scegliessero di votare contro l’autorizzazione a procedere con la seguente motivazione: «Noi siamo totalmente contrari alle scelte di Salvini sull’immigrazione, le contrastiamo e le contrasteremo duramente. Ma questa è una cosa che riguarda solo il confronto politico; la magistratura non c’entra. Inoltre, per rimarcare le differenze e dare a tutti una lezione di civiltà, riportiamo qui di seguito le dichiarazioni fatte dai leghisti, anche in tempi recenti, e sempre di tutt’altro tenore, in analoghe occasioni».
Oltre a riscattarsi per un trentennio in cui essi — per puro opportunismo — hanno sempre offerto la copertura e il sostegno a tutte le incursioni giudiziarie in politica, anche alle più immotivate, i Democratici metterebbero in gravissimo imbarazzo il governo. Con che faccia esso potrebbe reggere quando al «no» così argomentato del Pd si sommasse il «sì» all’autorizzazione di una grossa fetta dei 5 Stelle, quella più fedele alla propria storia? Certo, si può sopravvivere a tutto, anche alla peste bubbonica. Forse il governo sopravvivrebbe persino a una mazzata di queste proporzioni. Ma non sarebbe probabile.
Tutto questo però solo in teoria. In pratica, i Democratici, così come sono oggi, non potrebbero mai fare una scelta come quella sopra prospettata. Essa richiederebbe la concentrazione del potere nelle mani di un leader vero (il famoso, famigerato, «uomo solo al comando»), capace di rischiare e con la forza necessaria per imporre una linea controcorrente al proprio partito. La vicenda Renzi ha chiarito che i Democratici sono allergici a un tale leader. Essi preferiscono le cosiddette «leadership collegiali», ossia le oligarchie: Zingaretti più un accordo spartitorio fra le correnti. Di questi tempi, quello è sicuramente l’assetto più appropriato per preparare il Pd a un futuro da spalla o da ruota di scorta. Aspettando i saragattiani.