20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Sabino Cassese

La storia e le costituzioni hanno configurato gli ordinamenti contemporanei fondandoli sulla volontà popolare ma dando al popolo più voci


Si moltiplicano i segni di insofferenza nei confronti delle democrazie liberali. Ad esempio, il ministro dell’Interno italiano, negli ultimi giorni, ha dichiarato che l’elezione a presidente del Parlamento europeo di un rappresentante del Partito democratico non è rispettosa del voto degli italiani e degli europei e che quella italiana non è la giustizia che serve al Paese. Egli, insomma, vorrebbe contare di più nell’Unione europea, sia pure dopo aver qualificato i relativi politici «leaderini» e dopo aver disertato quasi tutte le riunioni degli organi europei alle quali doveva partecipare. Vorrebbe, inoltre, che le norme venissero interpretate e applicate secondo i suoi desideri, con la pretesa di essere l’unico portavoce del popolo italiano.
I nemici della democrazia liberale dovrebbero fare un rapido ripasso delle regole degli ordinamenti moderni, perché a loro manca la conoscenza della grammatica del costituzionalismo. Al ministro dell’Interno italiano, ad esempio, sfugge il funzionamento del principio di maggioranza. I voti raccolti dal suo partito nelle ultime elezioni europee rappresentano un terzo dei votanti, meno di un quinto degli elettori, meno di un sesto della popolazione. A queste condizioni, può egli parlare a nome del popolo italiano, pretendendo di averne l’esclusività? Prima di dire che il vincitore piglia tutto, bisogna essere il vincitore.
I sostenitori della cosiddetta democrazia illiberale dimenticano, in secondo luogo, che negli ordinamenti moderni la democrazia è posta su scale diverse, tanto che noi votiamo per i Consigli comunali, per quelli regionali, per il Parlamento nazionale e per il Parlamento europeo. Si può essere il primo partito in un Comune, in minoranza in una nazione; essere in minoranza in una Regione, in maggioranza a livello nazionale o europeo. Insomma, la storia e le costituzioni hanno configurato gli ordinamenti contemporanei fondandoli sulla volontà popolare e nello stesso tempo diffidando di essa, per cui hanno dato al popolo più voci, perché possa decidere in modi diversi, ed anche correggersi. Non, quindi, un solo vincitore, ma più vincitori. Non, quindi, la democrazia, ma le democrazie.
La nuova corrente democratico–populista dimentica, in terzo luogo, che quasi tutti gli eletti hanno tempi diversi. In Italia, i membri del Parlamento sono eletti per cinque anni, il presidente della Repubblica dura in carica sette anni, i giudici della Corte costituzionale nove. I Consigli comunali, quelli regionali, il Parlamento nazionale, il Parlamento europeo sono rinnovati in momenti diversi. Tutto questo per impedire che il potere pubblico diventi appannaggio esclusivo di una forza politica, perché si vuole preservare il pluralismo della società.
L’ultima dimenticanza dei nemici delle libertà riguarda il lascito del liberalismo, principalmente la separazione dei poteri e la salvaguardia dei diritti fondamentali. Si capisce che ha fatto scuola il primo ministro ungherese Viktor Orbán, cultore dell’impossibile democrazia illiberale. La democrazia non può non essere liberale, non solo perché costituisce storicamente uno sviluppo del liberalismo, ma anche perché la partecipazione alle elezioni e il diritto di voto sarebbero un vuoto simulacro se non ci fossero insieme tutte le libertà, a cominciare da quelle di manifestazione del pensiero e di associazione, oltre a giudici indipendenti a loro tutela. E questi giudici debbono poter interpretare le leggi senza vincoli che provengano dall’esecutivo, e debbono eventualmente persino poter dubitare della loro legittimità e darne una interpretazione coerente con la Costituzione, oppure rimettere il giudizio alla Corte costituzionale, perché lo stesso valore della democrazia ha un limite nelle libertà e nei diritti.
Al ministro dell’Interno italiano, in particolare, vorremmo ricordare che non basta indossare la casacca della polizia o promettere assunzioni di nuove forze dell’ordine per essere un buon ministro dell’Interno. Invece di farsi immortalare con in braccio prima un mitra, poi un fucile, infine una pistola elettrica, farebbe bene a prendere esempio dal primo ministro dell’Interno dopo la proclamazione della Repubblica, Alcide De Gasperi, che fu un esempio di capacità politica e di misura nell’amministrare.

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