23 Ottobre 2024

Il presidente Spada chiede alla Ue un cambio di rotta: meno ideologia e regole, più attenzione all’industria. Fondo comune Ue e nucleare le scelte più urgenti

Meno regole e ideologia in Europa, meno tasse in Italia e più spazi per investire. Dal palco dell’Università Bocconi, davanti alla platea di imprenditori riuniti per l’assemblea annuale di Assolombarda, il presidente Alessandro Spada traccia le priorità delle imprese, che guardano anzitutto a Bruxelles, «perimetro minimo e imprescindibile di azione», per ottenere segnali di discontinuità. «Realizzando una nuova strategia industriale che superi gli ostacoli che hanno limitato la crescita negli ultimi 30 anni».
Per evitare che i rapporti Letta e Draghi restino solo buoni propositi, occorre superare anzitutto la rigidità dei meccanismi decisionali, mettendosi alle spalle il voto all’unanimità. Mentre in parallelo si chiede un’inversione di rotta nella regolazione, puntando su «un’Europa pragmatica, al servizio della crescita e non della burocrazia»: a fronte dei 5500 testi di legge e risoluzioni federali negli Usa dal 2019 ad oggi, ragiona Spada, in Europa siamo a quota 13mila.
Regole e direttive che spesso non tengono conto della competizione globale, come accade per l’auto, filiera messa a rischio con mezzo milione di posti di lavoro in bilico per effetto di una transizione green irragionevole per tempi e modi, con 40mila posti a rischio in Italia e un addio a 7 miliardi di ricavi per la componentistica. «Ignorare i pilastri fondamentali della transizione, neutralità tecnologica, gradualità e oggettività scientifica – scandisce Spada – comporta con certezza il rischio di uscita dal mercato per settori chiave della nostra industria».
Una rigidità decisionale, quella europea, che rischia di tagliarci fuori dalla competizione globale con le nostre stesse mani e che già è visibile nei numeri: se nel 2008 sul continente si produceva il 31% dei veicoli, più del doppio rispetto alla Cina, ora siamo a parti invertite, il 19% in Europa, il 32% a Pechino. Tenendo conto di obiettivi troppo ambiziosi, tempi non coerenti e di una tecnologia per cui servono materie prime che non possediamo, «facciamo un passo avanti – spiega – e diciamo chiaramente una verità: la data decisiva del 2035 non sarà rispettata».
Strada della sostenibilità che comunque le imprese italiane continuano a percorrere con convinzione, raggiungendo e superando gli obiettivi di riciclo posti dall’Europa. Circolarità che diventa un tema chiave sul fronte delle materie prime, altra criticità che occorre affrontare in chiave di sostenibilità strategica dello sviluppo.
Per essere all’altezza di Usa e Cina davanti a queste sfide – ragiona Spada – occorre però avere strumenti adeguati, in primis un fondo comune dotato di potenza di fuoco adeguata. «Per realizzare i giusti obiettivi del Chips act Bruxelles dovrebbe investire oltre 260 miliardi di dollari, sei volte la cifra messa in campo, in gran parte affidata alle finanze degli Stati membri».
Ora l’attesa è per il Clean Industrial Deal annunciato da von der Leyen, piano in cui «in assenza di cambiamenti secondo un paradigma realistico e realizzabile sarà concreto il rischio di deserto industriale».
Tra i motivi della nostra debolezza, come evidenziato anche da rapporto Letta sul Mercato Unico, vi è il il nanismo europeo a fronte di altre realtà, approccio da superare anche con un cambio di rotta in chiave antitrust, perché finora «l’approccio della Commissione – leggi il fallimento Siemens Alstom nell’industria ferroviaria – ha bloccato e disincentivato le aggregazioni con spalle larghe abbastanza da affrontare la competizione globale».

L’Italia
Se il peso del debito pubblico resta rilevante, il Paese paga però troppi interessi rispetto al reale livello di sostenibilità dello stock passivo perché «non si considerano i progressi verso una maggiore sostenibilità finanziaria, con una fotografia delle agenzie di rating in parte fuorviante». Il patto di stabilità potrebbe ovviare a questo, prevedendo un sistema premiale verso il “debitore onorevole” citato dal Presidente Mattarella, mentre la Bce – questa la proposta di Spada – a fronte di un paese in grado di avere un avanzo primario oltre lo 0,5% del Pil, potrebbe acquistare e mantenere per 10 anni titoli pubblici di quel paese in una misura equivalente.
La richiesta principale al Governo è quella di mettere mano in modo sistematico alla spending review e a ridurre in parallelo la pressione fiscale, tenendo conto di un livello dove sistematicamente l’incidenza sul Pil è superiore rispetto alla media Ue: «bene il taglio strutturale del cuneo fiscale, aspettiamo però l’intervento sulla mini Ires, perché ad oggi il principale intervento sul reddito d’impresa è stato l’abrogazione dell’ACE, che aveva aiutato le nostre aziende a ripatrimonializzarsi».
Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo ha indicato che l’esecutivo sta lavorando per aumentare l’aliquota sulle plusvalenze finanziarie sulle criptovalute in Italia. Si tratta di una proposta, al momento…
Paese, il nostro, che per mantenere e rilanciare la propria competitività necessita di costi diversi dell’energia, con il nucleare a rappresentare una strada obbligata per garantire da un lato la più alta produzione a fronte della minore emssione di CO2, scelta che in parallelo riduce l’esposizione ai rischi geopolitici. «Il nucleare è una fonte imprescindibile insieme al gas e all’idrogeno per assicurare una strategia di transizione energetica. E gli studi ci dicono che 20 impianti small modular. reactor creerebbero oltre 50 miliardi di Pil aggiuntivo attivando 117mila occupati dal 2030 al 2050». Infrastrutture cruciali anche per intercettare un altro trend critico dello sviluppo, quello dei data center, dove si certifica un grande ritardo verso gli Usa: i tre principali operatori cloud statunitensi hanno il 65% del mercato globale, il maggiore sul continente detiene il 2% di questo limitato ambito. Anche qui, dunque l’eccesso di burocrazia per la concessione di permessi e autorizzazioni energetiche diventa un costo insopportabile per lo sviluppo tecnologico.

Transizione 5.0, tardi e male
Se gli investimenti sono determinanti in questa fase, occorre mettere mano al più presto allo schema Transizione 5.0, «misura arrivata troppo in ritardo e che non sta decollando» per effetto di «tempistiche stringenti, complessità procedurali, incertezze tecniche». La richiesta è quella di replicare ciò che ha funzionato, il modello vincente di Industria 4.0, andando a creare «subito una task force per gestire con flessibilità le domande di chiarimento e attivando al più presto interventi di semplificazione».
Al Governo, oltre al taglio della pressione fiscale, si chiede di scaricare a terra in fretta il Pnrr «perché diventi Pil, e di emanare il cosiddetto decreto Salva Milano, «risolvendo l’interpretazione sulle norme edilizie che stanno bloccando la città».

In Lombardia 481 miliardi di Pil, davanti all’Austria
Proposte e idee, quelle di Spada, che arrivano da un’area “pesante” in termini economici, con la sola Lombardia a classificarsi in termini di Pil al 10° posto tra i paesi Ue, territorio in gradi di crescere dal 2019 (+6,7%) oltre la media nazionale ma anche oltre Spagna, Francia e Germania. Capace di esportare oltre 160 miliardi, più di paesi come Ungheria, Danimarca o Portogallo, com l’area rappresentata da Assolombarda (oltre a Milano anche Monza-Brianza, Lodi e Pavia) a valere oltre la metà di questo valore.
«Siamo convinti – spiega Spada – che dentro questi dati ci sia un nostro modello industriale fondato su qualità, innovazione e diversificazione dei prodotti. E la nostra impresa è il motore che aggancia l’Italia al cuore dell’Europa».

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