22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Hotel Rigopiano

di Goffredo Buccini

Non bisogna tornare ai superpoteri ma va contrastata la paralisi dei localismi

Con l’approccio bipolare che riserviamo di solito alle materie più cruciali della nostra vita collettiva, ci prepariamo alla nuova controriforma della Protezione civile. O meglio: alla riforma della riforma della riforma. In ascesa costante da Giuseppe Zamberletti a Franco Barberi; sommo bene e poi sentina d’ogni male con Guido Bertolaso; depotenziata e costretta a trattare col localismo più riottoso nella versione successiva voluta dal governo Monti; e ora, nuovamente, ineludibile trincea da rialzare contro gli eventi che ci terrorizzano, praticamente tutti, dai terremoti in giù: è da sempre apodittica ed estrema la proiezione pubblica di una struttura così preziosa che un tempo ci veniva (questa sì…) invidiata e copiata all’estero.
Le scosse di Montereale e la valanga di Rigopiano hanno messo a nudo ciò che s’era capito già dalle settimane successive al sisma del 24 agosto: che le emergenze «non sono democrazie assembleari», come ha spiegato in questi giorni, con chiari accenti di rivalsa, qualche stretto collaboratore di Bertolaso; che il buon Fabrizio Curcio e i suoi ottimi funzionari devono affrontare con il loro bureau nazionale burocrati e cacicchi persino per spostare uno spazzaneve da una Regione all’altra; che il pessimo federalismo regionale costruito con la riforma costituzionale del 2001, coniugato col recente azzeramento (soprattutto contabile) delle Province, ha prodotto un sistema asimmetrico di voragini nelle strade, inciampi negli interventi, diseguaglianze persino nel monitoraggio dei costoni innevati, insomma il medesimo sabotaggio di qualsivoglia idea d’unità d’Italia generato in altri settori nevralgici (valga per tutti la Sanità). Come fa molta differenza partorire a Trento o a Reggio Calabria, è oggi sempre più diverso affrontare una tempesta di neve a Bolzano o all’Aquila.
Sul fronte caldo dei disastri, le pettorine della Protezione civile nazionale sono ormai merce rara, confuse in una pletora di casacche locali. Ieri il direttore Curcio è riapparso dopo giorni al Centro operativo di Penne, ma chi l’ha rimpiazzato nella prima terribile settimana non sempre ha saputo frenare la babele di notizie fasulle e decisioni estemporanee che soltanto l’eroico e costante impegno dei Vigili del fuoco (infaticabili protagonisti dei soccorsi a Rigopiano) è riuscito a non far tracimare in caos. Anche la convivenza tra Curcio e Vasco Errani, visto vieppiù come un commissario politico del precedente governo Renzi, non pare aiutare la ripresa, almeno a giudicare dalle proteste delle popolazioni riunite l’altro giorno a Roma, facile bersaglio del primo demagogo di passaggio.
Il premier Gentiloni mostra di avere ben chiaro questo quadro quando annuncia di voler porre mano alla materia per decreto (esisterebbe anche un disegno di legge ma s’è bloccato, come quasi tutto nel Paese, prima del referendum). La filosofia è accelerare. Perché avrà anche ragione Graziano Delrio quando afferma che la Protezione civile «ha già tutti i poteri di cui ha bisogno» ma la paralisi nelle decisioni come negli affidamenti in emergenza sta sotto gli occhi di tutti. Dunque, via alle procedure a trattativa privata quando serve, sotto la vigilanza di Raffaele Cantone. La sfida è trovare infine un punto d’equilibrio. Non si tratta di tornare a Bertolaso, quando diventavano emergenze anche i grandi eventi come il G8 per evitare lacci e lacciuoli (certo orgoglio revanchista di queste ore è assai fuori luogo). Si tratta di non buttare ogni volta via tutto, di innestare il tanto di buono di quell’esperienza nel materiale umano della squadra di Curcio. La strada più sicura si trova fermando il pendolo tra sommo bene e sommo male: all’incrocio con il buonsenso.

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