22 Novembre 2024

Fonte: Il Corriere della Sera

europa

di Franco Venturini

È lontanissimo il corpicino senza vita di Aylan Kurdi trovato in settembre sulla spiaggia turca di Bodrum. Si è dissolta l’ondata emotiva che quel sacrificio simbolico provocò in Europa, ed è stata infilata sotto il tappeto anche la generosa apertura di Angela Merkel a un numero illimitato di rifugiati siriani. Oggi, benché nell’Egeo i bimbi migranti muoiano a decine, la cancelliera ha dovuto cambiare registro. E l’Europa di Schengen è con le spalle al muro, o più precisamente ai muri che la deturpano nel tentativo di fermare quella che viene percepita come una insostenibile invasione. I dati disponibili dicono che ogni giorno, in pieno inverno, entrano nell’Unione duemila migranti. Quanti ne entreranno in primavera, in estate? Stupisce davvero che l’Europa si sia spaccata, che il nazionalismo identitario dei soci dell’Est abbia alzato barriere invalicabili infischiandosene del piano redistributivo della Commissione, che Austria, Germania, Svezia, Danimarca, Francia e Norvegia abbiano reintrodotto i controlli ai confini? Attenzione, hanno avvertito molti, abbandonare Schengen significa colpire il mercato unico, provocare danni economici gravi e mettere a rischio l’euro, cioè l’Europa stessa.

Questa spada di Damocle ha pesato ieri ad Amsterdam sul vertice dei ministri dell’Interno confrontati al dilemma potenzialmente più distruttivo di tutta la storia europea: come salvare l’Unione da una devastante reazione a catena, accogliere i migranti, e contemporaneamente limitare il loro numero per frenare reazioni sociali e politiche destinate a scaricarsi nelle urne? Perché dietro la parola Schengen non si può non vedere un populismo che galoppa e che ora si nutre anche della paura del terrorismo, non si può non scorgere il profilo di Marine Le Pen, non si può non pensare all’instabilità spagnola o al pericolo dell’uscita britannica dalla Ue.

Così, da Amsterdam è uscita una indicazione che promette di rivelarsi lacerante: la libera circolazione di Schengen potrà essere sospesa da chi lo vorrà per un massimo di due anni con verifiche ogni sei mesi. Se la Commissione preparerà una base giuridica e il Consiglio europeo di febbraio approverà, torneranno controlli alle frontiere verosimilmente più numerosi di quelli già esistenti, ci saranno danni economici (si pensi alla circolazione dei Tir, dei lavoratori e dei viaggiatori in genere), ma in cambio i flussi migratori potranno essere, almeno nelle intenzioni, meglio controllati.

Il problema è che le intenzioni, questa volta, somigliano fortemente a una foglia di fico. I Paesi che si avvarranno della clausola dei due anni saranno almeno sei, guidati dalla Germania. Altri si uniranno a loro. All’Est si preferirebbe la revoca, non soltanto la sospensione formale di Schengen. E i flussi migratori, a giudicare da quanto accade in queste ore in Siria e in Libia, non sono destinati a diminuire né tra uno né tra due anni. Il pericolo è dunque che Schengen, messo in naftalina senza ucciderlo, non trovi più le condizioni per risorgere e muoia sotto i colpi della geopolitica e della minaccia terroristica (proprio ieri Europol ha lanciato un nuovo allarme).

È vero che le alternative, di volta in volta smentite ma tutte caldeggiate da questa o quella capitale, erano ancora peggiori. Una mini-Schengen carolingia avrebbe prefigurato un nocciolo duro europeo e sconvolto gli attuali assetti della Ue (quelli che ancora resistono). Un muro in Macedonia avrebbe in pratica espulso la Grecia dall’Europa e creato un disastro umanitario. E tuttavia anche la via che è stata scelta, oltre a somigliare molto a una condanna definitiva di Schengen, appare ingiusta verso l’Italia e verso la Grecia.

La Germania o l’Austria, se lo vogliono, possono ristabilire i controlli alle loro frontiere terrestri. Ma l’Italia e la Grecia cosa dovrebbero fare, davanti a un barcone mezzo affondato e stracarico di umanità che tenta di raggiungere le loro coste? Dare l’altolà perché altrove Schengen è sospeso e lasciare che affoghino tutti? Se sarà circondata da frontiere con i controlli riattivati, l’Italia si troverà ad ospitare migranti bloccati sul suo territorio senza più varchi per andare altrove. Il che si traduce in una disparità di trattamento che l’Europa dovrà affrontare e che il governo di Roma dovrà denunciare, reclamando le necessarie correzioni che non si esauriscono con la moltiplicazione dei centri di identificazione (gli hotspots). È un caso tipico, questo, nel quale l’Italia ha ragione da vendere nei confronti di Bruxelles e di Berlino. Ma è difficile non pensare che si tratti anche di un insegnamento da applicare a polemiche recenti troppo mediatiche e non sostenute da un metodo negoziale adeguato alla realtà europea. Per quanto esso sollevi molti dubbi etici e politici, è tempo di togliere la nostra riserva sull’accordo con la Turchia che dovrebbe contenere la marea dei migranti. Occorre capire che una Merkel indebolita non aiuta l’Italia, e che una Merkel caduta sarebbe un grave danno per l’Italia. E poi, beninteso, occorre anche presentare con fermezza la nostra protesta sul futuro di Schengen, o su altri legittimi interessi nazionali. Può essere una fortuna che Matteo Renzi stia già facendo le valigie per andare a Berlino.

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