Fonte: Corriere della Sera
di Pierluigi Battista
Un caso di mecenatismo a favore della ricostruzione. L’esempio Cucinelli che si spera non venga ostacolato dallo Stato
Speriamo che nessuno gridi alla «privatizzazione dell’arte», ora che Brunello Cucinelli, riconosciuto il suo «riferimento spirituale» nelle pietre di Norcia sgretolate dal terremoto, ha detto che investirà ingenti somme per la ricostruzione della splendida Basilica di Benedetto. E speriamo che non sia il solo borghese a mobilitarsi concretamente per salvare e ricostruire quell’immenso patrimonio andato distrutto in quei borghi meravigliosi. Speriamo che lo Stato non metta ostacoli a un mecenatismo diffuso che è anche senso di appartenenza, spirito comunitario, desiderio di donare una parte di sé alla propria terra, all’arte, alla bellezza da salvaguardare, ai «riferimenti spirituali» che non possono svanire per un sisma devastante. Non è solo una questione di risorse aggiuntive. È soprattutto la certezza che dietro ogni affresco che si sbriciola, in ogni chiesetta rasa al suolo in ogni palazzo, in ogni campanile, in ogni torre, in ogni monastero, chi ha la possibilità di «adottare» una parte di questo tesoro prezioso si riconosca cittadino di un’Italia sfregiata. Anche finanziando i lavori di ricostruzione, anche dando la testimonianza di privati che sostengono disinteressatamente beni pubblici dal valore culturale inestimabile. Insieme, per sentirsi più uniti.
Mobilitazione straordinaria
Tecnicamente si vedrà come fare, se si può fare e in quanto tempo. Ma basta cominciare. E se la borghesia italiana desse veramente vita a una mobilitazione straordinaria per rimettere in piedi anche solo un frammento di questo straordinario patrimonio artistico e architettonico, allora si salderebbe un legame più duraturo con l’Italia che tutti diciamo di voler proteggere, un impegno generoso ripagato soltanto dal riconoscimento pubblico di un contributo, niente di più. Non un ritorno economico, ma l’orgoglio di un aiuto vero. Quante biblioteche disseminate per l’Italia, musei, chiese, affreschi, frontoni, absidi che possono essere salvati non più solo dall’incuria, ma anche da fenomeni distruttivi di portata micidiale, potrebbero essere adottate da chi in cambio può al massimo chiedere una targa, un segno di gratitudine minima. Quanti cittadini che ne hanno la possibilità, imprenditori, commercianti, borghesi che sentono l’obbligo di restituire qualcosa al Paese che ha loro dato tanto potrebbero patrocinare ricostruzioni, restauri, puntellamenti, ristrutturazioni non chiedendo sempre allo Stato, non mettendosi in fila in attesa di qualche chiamata ma fornendo una prestazione di civismo e di attaccamento a una cultura, a un’identità, a una tradizione.
Concorrenza virtuosa
Una comunità si rinsalda anche così. E una comunità messa a dura prova, violentata, impaurita, non può che salutare con favore una mobilitazione anche finanziaria che abbia i caratteri dell’eccezionalità. Lo Stato, poi, non potrebbe che avere nuovi stimoli da questa concorrenza virtuosa, in cui lo scopo di lucro è sostituito da uno spirito di servizio che è anche ricompensato da quei riconoscimenti immateriali, simbolici, emotivi, affettivi che sono quelli di una comunità capace di apprezzare lo sforzo dei suoi cittadini.
Negli Stati Uniti, in cui gli incentivi fiscali favoriscono i privati che vogliono lasciare un’impronta e sentirsi utili al servizio della comunità, è pieno di biblioteche aiutate da un notabile locale che si prende cura dei libri a disposizione del pubblico, di musei, di gallerie, di scuole, persino di campi sportivi che mai avrebbero tutte le risorse necessarie senza quel sentimento di mecenatismo diffuso.
L’esempio di Roma
L’Italia del terremoto e delle chiese che crollano ha bisogno di questa pagina nuova. A Roma non c’è stato bisogno del terremoto per i privati che hanno aiutato la città a recuperare all’antico splendore il Colosseo, la Fontana di Trevi, la scalinata di Trinità dei Monti. Dopo defatiganti controversie burocratiche, alla fine ce l’hanno fatta. Ora si tratta di rimuovere gli ostacoli burocratici, le procedure talvolta cervellotiche che hanno mortificato ogni spirito di iniziativa. Ora si tratta di dimostrare concretamente, per chi ne ha la possibilità, che davvero questo è il «nostro» patrimonio da salvare, da tutelare, da assicurare alle generazioni che verranno e che potranno nuovamente ammirare le bellezze che oggi sembrano compromesse per sempre.
Bellezze anche piccole, una singola torre, una singola cupola, una singola facciata, un singolo affresco. Che però siano, nella loro singolarità, il segno di una rinascita e di un rifiuto della resa. Un riferimento spirituale, come ha detto Cucinelli, che deve avere un sostegno materiale in una comunità che si sente come propria.
Altro che privatizzazione.