Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
Poniamo che nelle prossime elezioni per l’Europarlamento salti il banco, che ci sia il preannunciato boom elettorale dei nazional-populisti. Ecco cosa potrebbe accadere
i ricorre con più frequenza alle analogie storiche quando i tempi si sono fatti confusi, quando svaniscono i punti di riferimento tradizionali, quelli che in precedenza usavamo per interpretare il mondo. Si ricercano, nella storia passata, momenti e situazioni paragonabili, per quanto è possibile, alle circostanze presenti.Nella speranza di trovare una bussola che aiuti noi ad orientarci. Poniamo che Steve Bannon, ex sodale di Donald Trump e teorico del nazional-populismo, e il suo progetto (quella che sembra a molti di noi una distopia, un’utopia negativa) di un’Europa riconsegnata alla competizione fra Stati di nuovo pienamente sovrani, vincano. Poniamo che nelle prossime elezioni per il Parlamento europeo salti il banco, che ci sia il preannunciato boom elettorale dei nazional-populisti. Poniamo che cresca il condizionamento esercitato sui governi tedeschi da Alternativa per la Germania, movimento anti stranieri (e anti Europa), oggi terzo partito al Bundestag, che in Francia il declino del consenso popolare per Macron renda di nuovo credibile la sfida lepenista, che in Italia i nazional-populisti oggi al governo mettano radici, che movimenti simili continuino a rafforzarsi ovunque. L ’Unione europea, lungi dal superare l’attuale crisi, avrebbe poche possibilità di riprendersi. Immaginiamo,infine, che i legami inter-atlantici (anche causa la riconferma di Trump,fra due anni, per un secondo mandato presidenziale) continuino a logorarsi.
Se quanto detto sopra si realizzasse, a quale costellazione storica del passato dovremmo riferirci per tentare di comprendere la nuova situazione europea? Possiamo azzardare che in tal caso l’Europa si troverebbe in una condizione paragonabile a quella dell’Italia nella prima metà del Cinquecento: nell’arco di tempo che va dal 1494, anno della calata in Italia del re di Francia Carlo VIII, al 1559, anno del trattato di pace di Cateau-Cambrésis. Per tutto quel periodo, con brevi tregue, Francia e Spagna (Francia e Impero asburgico sotto Carlo V dal 1519 al 1556) si disputarono il controllo dell’Italia. La contesa finì nel 1559 con il trionfo della Spagna che si assicurò, dal Regno di Napoli a Milano, l’egemonia su gran parte della Penisola. L’Italia dopo il 1494 era diventata terreno di contesa fra le potenze europee perché aveva due caratteristiche (che si ritrovano anche nell’Europa di oggi): era ricca di risorse e di prestigio ed era politicamente frammentata, divisa fra Stati rivali, incapaci di fare fronte unico contro gli appetiti di quelle potenze. In un’opera classica dedicata alla «Storia delle repubbliche italiane» del 1832, lo storico ed economista Sismondi scrive: «Alla fine del secolo XV i signori delle nazioni francese, tedesca e spagnola furono tentati dall’opulenza meravigliosa dell’Italia, dove il saccheggio di una sola città prometteva loro a volte più ricchezze di quante ne potessero strappare a milioni di sudditi. Con i più vani pretesti essi invasero l’Italia che, per quaranta anni di guerra, fu di volta in volta devastata da tutti i popoli che poterono penetrarvi. Le esazioni di questi nuovi barbari fecero infine scomparire l’opulenza che li aveva tentati».
Consideriamo ora il caso di una possibile Europa «disfatta»: fine dell’egemonia statunitense, fine dell’integrazione europea, ritorno pieno a un’Europa di Stati nazionali non più vincolati – come fino ad oggi è stato – da quella egemonia e da quella integrazione. Immaginiamo la situazione più rosea, uno scenario in cui siano assenti, a differenza di quanto accadde nell’Italia del Cinquecento, conflitti armati (anche se sappiamo che lungo la frontiera fra i Paesi della Nato e le zone di influenza russa potrebbero prima o poi scoppiare gravi incidenti). L’Europa diventerebbe comunque terreno di contesa fra grandi potenze. La prima ad avvantaggiarsi dal declino dell’egemonia statunitense e dal contestuale arresto del processo di integrazione europea sarebbe ovviamente la Russia (che, insieme a certi suoi amici europei, sta già lavorando attivamente per quel risultato). Punterebbe a sostituire gli Stati Uniti nel ruolo di lord protettore dell’Europa. «Poco male» dicono coloro che non capiscono quali effetti avrebbe sulle società di cui fanno parte, e sulle loro stesse vite, il passaggio dall’egemonia di una potenza democratica e liberale a quella di uno Stato illiberale. Figuratevi un po’: gli esperti di Russia pensano che Putin sia il meglio che ci sia oggi su piazza da quelle parti. I suoi successori, per propensioni autoritarie e vocazione imperialista, saranno, verosimilmente, peggiori.
Ma la Russia non avrebbe campo libero. Incontrerebbe ostacoli nell’azione delle altre grandi potenze. Anche se politicamente ridimensionati, non più in grado di esercitare un’incontrastata egemonia, gli Stati Uniti, di sicuro, non abbandonerebbero del tutto il campo: cercherebbero comunque di contrastare la pressione russa sull’Europa. C’è poi la Cina con le sue ambizioni imperiali, la nuova Via della Seta e tutto il resto, con i suoi investimenti massicci, oltre che in Asia e in Africa, anche nel Mediterraneo e in Europa. La ricca e divisa Europa diventerebbe la posta di una competizione (si spera, per lo meno, pacifica) fra le grandi potenze di oggi. In un’Europa divisa si riaccenderebbero molte rivalità, fino ad ora (dopo il 1945) solo sopite: forse il braccio di ferro fra Italia e Francia sulla Libia preannuncia una nuova fase di tensioni fra europei per le questioni più disparate.
A sua volta, la ripresa delle tensioni faciliterebbe, soprattutto nei Paesi europei meno coesi e con le istituzioni più deboli, la formazione di fazioni – partiti o correnti di partito – legate a filo doppio all’una o all’altra delle grandi potenze rivali. Per non parlare del fatto che in una Europa divisa, e terra di immigrazione dal Medio Oriente, aumenterebbero ancor di più la presenza e la capacità di influenza di alcune potenze (autoritarie) mediorientali. Le élite europeiste o cosmopolite che pensavano che in Europa lo Stato nazionale fosse ormai «superato» hanno commesso gravi errori. Hanno facilitato la reazione detta sovranista. Della perdurante vitalità degli Stati nazionali l’Europa deve tenere conto. Ma gli europei che subiscono il fascino del richiamo nazional-populista dovrebbero considerare quale prezzo pagheremmo tutti se quel progetto si realizzasse.