22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Michele Salvati

Se le cose non cambieranno, vivremo anni di ingovernabilità che ci esporrà alle speculazioni economiche e ridurrà il nostro peso internazionale


Credo che un cittadino di buon senso dovrebbe esprimere riconoscenza per Gentiloni, Padoan, Minniti e altri bravi ministri che tirano avanti la carretta del governo nonostante il clima turbolento nel quale sono immersi. La politica e i dissidi dei partiti che li sostengono o li avversano in Parlamento interferiscono pesantemente nelle loro decisioni — caso tipico: l’eliminazione dei voucher, uno strumento che doveva essere tarato, non eliminato allo scopo di evitare un altro pericoloso referendum — ma nell’insieme l’Italia sembra sinora andare avanti come se fosse un Paese normale e affidabile. Ma non lo è, è un Paese alle soglie di una situazione di emergenza democratica. Questo timore non è infondato o eccessivo. E’ assai probabile che, con le elezioni del prossimo anno, si aprirà un periodo di grande instabilità politica. E prima di allora, ammesso che il governo Gentiloni riesca a reggere sino a fine legislatura, è improbabile che in un anno pre-elettorale l’Italia riesca a dare prove che rassicurino i mercati e i partner europei della solidità dei suoi conti e della serietà delle sue riforme strutturali. E’ assai probabile invece che i partiti non riusciranno a mettersi d’accordo su una riforma elettorale la quale assicuri uno sbocco di governabilità al Paese: andremo alle elezioni con le due leggi elettorali diverse che risultano dalle sentenze della Corte Costituzionale, entrambe proporzionali. Se i risultati elettorali non sovvertiranno drasticamente le previsioni, e se gli orientamenti politici dei partiti non muteranno in modo altrettanto drastico, questo avrà come conseguenza l’ingovernabilità del Paese. Un’ingovernabilità che si può manifestare in due modi. O l’impossibilità di formare un governo e dunque la necessità di tornare al voto; o una coalizione di governo fragile e incoerente, incapace di assumere le decisioni necessarie e destinata a rapida crisi.
Una crisi che non potrebbe più avere la soluzione esperita da Napolitano con il governo Monti, una autorevole figura non appartenente al ceto politico cui affidare il governo, sostenuto obtorto collo dai principali partiti. E difficilmente il nostro Paese potrebbe consentirsi senza gravi conseguenze un ritorno ripetuto alle urne. A parte la differente situazione europea e internazionale, l’Italia è in una situazione diversa dalla Spagna che alle urne è tornata l’anno scorso tre volte di seguito: il suo debito pubblico è assai maggiore, minore la crescita del reddito e della produttività, più deboli le sue istituzioni statali e amministrative, più difficile la sua situazione politica. E’ dunque probabile che la crisi politica si accompagni ad una seria crisi economica, con attacchi speculativi contro il debito pubblico del nostro Paese, gravi ripercussioni sul suo sistema bancario e un intervento finale, se pur basterà, dell’Unione Europea, che ci sottrarrà i limitati margini di sovranità di cui tuttora disponiamo. Insomma, una crisi greca moltiplicata molte volte, che metterebbe a rischio e potrebbe giungere a decretare la fine dell’Unione Europea così come la conosciamo.
Si sono appena concluse a Roma le celebrazioni del sessantesimo anniversario dei trattati istitutivi del Mercato Comune: è stata riaffermata una volontà politica, ma non si sono diradate le nubi che si addensano sul grande sogno europeo. Se solo l’Italia fosse in una situazione diversa, con una democrazia capace di prendere le decisioni necessarie a sostenere un rilancio del più grande progetto politico del dopoguerra, le difficoltà che a questo si frappongono non mi spaventerebbero. Idee ragionevoli, anche se di attuazione non facile (è un eufemismo), sono disponibili, da ultimo quelle sostenute da Fabbrini nel suo libro appena uscito (Sdoppiamento, Laterza). In Francia è possibile che alle presidenziali prevalga Macron e in Germania i due principali contendenti sono entrambi sinceri europeisti: entro la fine dell’anno i due Paesi perno dell’Unione dovranno però affrontare il dossier Italia. Sicuramente le conseguenze non saranno immediate e si attenderà l’esito delle elezioni italiane ed oltre: nel frattempo la Bce rafforzerà le difese contro una possibile crisi italiana e i suoi effetti di contagio. Ma un’Italia in crisi e incapace di decidere avrà intanto perso credibilità per contribuire, alla luce delle sue convinzioni ideali e di una visione dei suoi interessi nazionali, ad una riformulazione del progetto europeo: quali sono le convinzioni e la visione che prevarranno nel caleidoscopio confuso del sistema politico italiano? Un Paese senza un governo stabile, in condizioni di debolezza economica e turbolenza politica, difficilmente potrà avere un ruolo di primo piano nella riformulazione di quel progetto, se mai essa avverrà.

Non pochi commentatori condividono queste preoccupazioni e addirittura si spingono a parlare di «rischio Weimar». No, la democrazia è certamente in crisi e il dissenso e la confusione regnano sovrani. Ma la situazione internazionale è assai diversa da allora e gli obiettivi dei partiti, anche dei più estremi, non sono antidemocratici ma semmai confusi e irrealistici, rimettendo in discussione i valori liberali e le istituzioni della democrazia rappresentativa sui quali si fondano tutti i grandi Paesi europei. Rispetto a Weimar, vale semmai ciò che Marx scrisse nell’Introduzione a Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte: la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. E farseschi, non tragici, sono alcuni dei personaggi che la rappresentano sulla scena italiana. Una farsa, però, foriera di pericoli, perché anche la litigiosità esasperata, l’incapacità di riunirsi di fronte ad una emergenza e di decidere, la confusione e la mancanza di realismo possono produrre gravi danni e avere sviluppi incontrollabili.

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