21 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

L’Italia si espone alla speculazione finanziaria e a un declassamento del suo debito


Sono settimane che il Movimento 5 Stelle indica il suo ministro dell’Economia preferito. E il nome che viene fatto non è mai quello di Giovanni Tria. Si tratta di un esercizio di logoramento quotidiano nei confronti di colui che è diventato, suo malgrado, simbolo della tenuta dei conti pubblici; ma è anche un indizio di nervosismo. Quando infatti si chiede come mai la maggioranza non lo cambi, la risposta è che «per ora» non si può. Per questo, l’unica manovra che Luigi Di Maio può tentare, assecondato in maniera sorniona dal vicepremier della Lega, Matteo Salvini, è di incalzare Tria; di piegarlo perché realizzi la «manovra del popolo» del Movimento. Con il rischio che la corda si spezzi, però. Decidere che bisogna sfondare il tetto del 2% nel rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo è una sfida non solo a lui ma all’Europa e ai mercati finanziari. E il fatto che la maggioranza si sia riunita prima con il premier Giuseppe Conte, Di Maio e Salvini senza di lui e senza il ministro agli Affari europei, Paolo Savona, segnala una volontà prepotente di imporre la superiorità dei «politici» sui «tecnici». Il sottinteso è un «prendere o lasciare» che implica due possibilità, per Tria: cedere o dimettersi.
La soddisfazione espressa ieri sera tardi da Di Maio e Salvini per l’intesa raggiunta al 2,4% è una vittoria controversa. Il rischio di screditare la manovra finanziaria sul piano internazionale è più concreto. L’Italia si espone alla speculazione finanziaria e a un declassamento del suo debito. Il sospetto, tuttavia, è che ai contraenti del «governo del cambiamento» queste incognite importino meno dei calcoli elettorali. L’ossessione di Di Maio è il fronte interno ai 5 Stelle, che lo aspetta al varco ed è pronto a sfruttare ogni suo passo falso. Sono i settori che considerano perdente la competizione con Salvini; che non hanno gradito i pasticci e i ritardi sulla ricostruzione del ponte crollato a Genova un mese e mezzo fa; e che volevano vedere se riusciva a portare a casa il reddito di cittadinanza. Ci è riuscito, e lo comunica trionfalmente. D’altronde, solo una strategia della forzatura può soddisfare il grosso di chi ha votato M5S e Carroccio assecondando la vulgata di un nuovo inizio e della fine del vecchio ordine. Che un sistema sia finito è indubbio. Ma il nuovo inizio per ora è una miscela di improvvisazione e di esasperazione a tavolino dei toni.
Si discuta di conti pubblici, elezioni al Csm, vincoli con l’Unione Europea, la maggioranza attacca e recrimina. Cerca lo scontro per legittimare contraddizioni e divergenze nelle sue file. Ma il prezzo da pagare rischia di essere molto alto. A forza di vedere nemici immaginari, spunteranno quelli veri. E i «numerini», come li definiscono con disprezzo nell’esecutivo, si prenderanno una rivincita: non tanto su Movimento 5 Stelle e Lega, ma sulle famiglie e sulle imprese italiane.

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