22 Novembre 2024

La ricerca di «Scomodo» con un questionario rivolto a circa 10mila giovani sotto i 35 anni. Le caratteristiche richieste per il leader politico: istruito e competente

Si dichiarano per lo più europeisti, credono nella libertà di movimento come vero cardine dell’Europa e non percepiscono i flussi migratori come minaccia. Pensano che la scuola dell’obbligo non abbia contribuito alla loro (peraltro scarsa) conoscenza delle istituzioni comunitarie e non si sentono affatto rappresentati dai leader italiani all’interno dell’Ue. Sono i “nuovi europei”, ragazze e ragazzi sotto i 35 anni così come emergono dal progetto di ricerca condotto da Scomodo, la comunità-rivista fondata a Roma nel 2016 da un gruppo di liceali e universitari e distribuita su tutto il territorio nazionale, presentato a meno di un mese dal voto europeo dell’8 e 9 giugno.

Più Europa, meno pessimismo
Le risposte ai questionari che hanno raggiunto quasi 10mila nati dopo la caduta del Muro di Berlino (a cui si aggiungono l’analisi di 168mila post su X e quasi 90mila lanci di agenzia sul dataset Ansa) restituiscono l’immagine di una generazione in preda al pessimismo che guarda al futuro con preoccupazione soprattutto per il cambiamento climatico, l’inflazione e la salute mentale. Proprio l’Europa, però, diventa un punto di riferimento rassicurante per gli anni a venire: chi crede nella prospettiva di un’Unione europea con più poteri si dimostra anche meno spaventato per l’avvenire. «Fondamentale per le nuove generazioni immaginare uno spazio sociale, politico e culturale largo in cui poter inserire le aspirazioni individuali e collettive. In questo senso una prospettiva di chiusura e frammentazione è correlata a un senso di sfiducia nel futuro» commenta Edoardo Bucci, co-fondatore e direttore editoriale di Scomodo.

I requisiti di un leader
C’è un enorme problema di rappresentanza perché Bruxelles appare distante, incapace di dare ascolto ai più giovani. E allora quali caratteristiche dovrebbe avere un leader politico secondo la parte più giovane degli elettori? Non conta l’età (avere meno di 40 anni non sembra essere di per sé una priorità), né il genere (una politica donna) ma vantare un elemento a lungo sottovalutato nella stagione dell’antipolitica: la competenza. I requisiti sono un alto grado di istruzione ed essere un esperto in un ambito tecnico. «Emerge – sottolinea ancora Bucci – come la sensibilità rispetto a questioni connesse all’identità di genere, all’appartenenza generazionale e alla sensibilità sulla crisi climatica siano considerati requisiti preliminari per una classe dirigente valida e rappresentativa. È solo su queste basi che la preparazione e l’esperienza assumono un ruolo determinante».

La partecipazione al voto di giugno
Cosa faranno gli under 35 italiani l’8 e 9 giugno, quando con le elezioni europee si celebrerà quello che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito un «grande esercizio di democrazia» in cui si ha l’opportunità di rendersi protagonista del proprio futuro? Il 57% pensa di andare a votare. Ma è da notare che, nel gruppo di chi deserterà le urne, è più alta la percentuale di persone che solitamente votano rispetto agli astensionisti cronici. Le elezioni europee – sembrano dire questi numeri – sono percepite come lontane rispetto ad appuntamenti elettorali nazionali o locali e perciò meno interessanti. Del resto in pochi tra i più giovani si sentono adeguatamente informati sul funzionamento del Parlamento europeo e sulle altre istituzioni comunitarie (Consiglio, Commissione o Bce). Una delle cause di questa scarsa conoscenza deve far riflettere: è la latitanza della scuola dell’obbligo che non svolge un adeguato lavoro di formazione dei “nuovi europei”. A favorire il contatto con la realtà continentale sono scelte individuali come i viaggi nei Paesi dell’Ue, lo studio all’estero o esperienze di lavoro.

Più italiani o più europei?
Il tasso di europeismo è alto in una generazione abituata a vivere in un orizzonte europeo: il 40% degli intervistati si sente «tanto italiana/o quanto europea/o» (contro un terzo che si sente più italiano), mentre il 65% si dichiara «europeista» o «fortemente europeista». Sarebbe perciò un «evento terribile» o comunque «molto grave» l’uscita dell’Italia dall’Unione europea: del resto uno degli effetti più controversi della Brexit è stata la fine del diritto di vivere gli uni negli altri Paesi che ha comportato il blocco della mobilità di godevano in particolare i giovani. Le relazioni personali superano i confini nazionali (nell’ultimo anno il 79% ha contattato almeno una volta amici o parenti residenti in altri Paesi europei), anche se solo il 32% ha partecipato a programmi formativi o lavorativi finanziati dall’Ue.

Oltre i confini dell’Unione
Su un aspetto dell’identità europa gli under 35 dimostrano di avere le idee chiare e una forte sensibilità verso i diritti civili e sociali: oltre il 73% dei partecipanti ritiene importante che l’Ue valuti gli accordi economici con Paesi esteri anche in base ai loro standard in diritti umani. L’Unione europea, nella visione delle nuove generazioni, deve essere un’entità impegnata nel promuovere e difendere i diritti fondamentali delle persone a livello globale. A questo approccio si accompagna un atteggiamento inclusivo nei confronti dell’immigrazione: quasi nessuno considera i flussi migratori dai Paesi extra-Ue una minaccia per l’identità europea. Un pluralismo che si ritrova anche nelle risposte sull’allargamento dell’unione a Paesi come Ucraina, Moldavia e Balcani occidentali: quasi la metà (48%) si dice favorevole.

La distanza delle istituzioni e le paure
Nel rapporto con l’Europa prevale la percezione di uno scarso ascolto da parte delle istituzioni europee nei confronti degli under 35 con la prevalenza di chi rietiene che l’Unione europea tenga «per nulla» o «poco» in considerazione le esigenze della propria generazione. Molti (il 35%) guardano al futuro come a un tempo in cui l’Ue non solo continuerà a esistere ma avrà anche maggiore potere. Una prospettiva che aiuta a guardare l’avvenire con più fiducia. Se è vero che la maggior parte del campione (54%) si dichiara poco o per nulla ottimista sul futuro e che cambiamento climatico (94%), aumento dei prezzi (90%) e salute mentale (83%) sono le paure più ricorrenti, chi crede nel futuro dell’Ue ha in media livelli di preoccupazione più bassi. In altre parole, credere nell’Europa aiuta a credere nel futuro.

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