24 Novembre 2024

La sicurezza fisica dei cittadini europei, così come il mantenimento di condizioni di libertà e democrazia nel Vecchio Continente, dipendono dalla capacità delle classi dirigenti di scuotere dal torpore le opinioni pubbliche

Non vogliamo che accada. Però non possiamo ignorare il fatto che una parte dell’Europa, magari con l’Italia in testa, sarebbe pronta, se le cose si mettessero davvero male in Ucraina, a innalzare un cartello con sopra scritto «meglio putiniani che morti». Non possiamo ignorare che c’è una parte dell’Europa che sarebbe felicissima di correre a baciare l’anello dello zar di tutte le Russie. Non è sicuro che quelli che non sarebbero d’accordo stiano facendo davvero il possibile per impedire un così infausto esito. È la politica internazionale che deciderà del futuro delle democrazie europee. Ma non pare che classi politiche e opinioni pubbliche ne siano pienamente consapevoli. Un sondaggio ben fatto, probabilmente, mostrerebbe che non più del cinque, massimo dieci per cento, delle opinioni pubbliche si rende conto della gravità della congiuntura storica in cui ci troviamo. Uno dopo l’altro, sono saltati tutti i possibili tabù. Una grande potenza ha violato la regola secondo cui i confini in Europa possono essere cambiati solo consensualmente e ha scatenato una guerra di conquista. Inoltre, altro tabù saltato, minaccia continuamente l’uso delle armi nucleari (non accadeva all’epoca della Guerra fredda, del confronto fra Stati Uniti e Unione Sovietica). Non conviene considerare tale minaccia alla stregua di un inoffensivo bluff.
La natura del regime putiniano sconsiglia di sottovalutarla. Ed è chiaro (chiedere ai moldavi o ai baltici) che se Putin la spuntasse in Ucraina non si fermerebbe lì. Da ultimo, c’è una America che, Trump o non Trump, non ha più la voglia che aveva un tempo di tenere in piedi una, per lei sempre più costosa, egemonia internazionale. Non è più garantita la protezione militare statunitense dell’Europa. Il che moltiplica minacce e aggressioni ovunque. Come oggi quella degli Houthi nel Mar Rosso. I governi europei, le opposizioni, il sistema della comunicazione, di due cose, soprattutto, dovrebbero occuparsi: come impedire a Putin di vincere in Ucraina? Come costruire, in tempi rapidi, un sistema di difesa europea che — se la Nato perdesse forza — funzioni da deterrente, ci protegga dall’imperialismo russo e da altri possibili aggressori? Macron, per il quale conviene prepararsi all’eventualità di dover mandare soldati in Ucraina, ha invitato l’Europa a un bagno di realismo. Le reazioni scandalizzate degli altri europei la dicono lunga sulla indisponibilità delle opinioni pubbliche (e, per conseguenza, dei governi) a fare i conti con la gravità del momento. Mentre la guerra va male per gli ucraini, mentre i repubblicani pro-Trump bloccano al Congresso gli aiuti per Kiev, gli europei (come ha documentato Danilo Taino, sul Corriere del 2 marzo) non riescono neppure a sostenere, tutti insieme, la necessità di trasferire al più presto all’Ucraina le riserve russe congelate in Europa.
Né vanno meglio le cose sul versante della difesa. Tante chiacchiere e pochi fatti. «Fatti» in questo campo significa, prima di tutto, fare accettare agli europei uno spostamento di risorse in favore della difesa. Cosa politicamente impossibile se non si preparano adeguatamente le opinioni pubbliche. E se all’interno delle varie democrazie, non si realizzano accordi fra maggioranze di governo e opposizioni sulla necessità di investire nella sicurezza. In una Europa ricca e soddisfatta, anestetizzata da ottant’anni di assenza di guerra, ove in tanti sembrano non capire che quella condizione è stata assicurata dalla pax americana e che l’indebolimento del ruolo internazionale dell’America (come ha scritto Antonio Polito, Corriere del 3 marzo) rimette tutto in discussione, c’è un rischio: le opinioni pubbliche, man mano che si aggrava la congiuntura internazionale, potrebbero passare repentinamente dalla incomprensione alla paura e dalla paura al desiderio di saltare sul carro del vincitore. Se Putin la spunterà in Ucraina sarà sul suo carro che molti europei vorranno al più presto saltare.
L’Italia è un perfetto laboratorio. Qui sono particolarmente forti le minoranze politicizzate anti-occidentali: quelli che «è tutta colpa della Nato», quelli che «le cosiddette democrazie occidentali sono in realtà dittature asservite al capitale finanziario», quelli che disprezzano Zelensky, quelli per i quali la parola «pace» e la parola «resa» sono sinonimi. Quelli, insomma, che amplificano la propaganda anti-occidentale di Putin. Anche le ampie simpatie per Hamas si spiegano con la diffusa presenza di sentimenti anti-occidentali. Se, dopo l’Ucraina, Putin passasse a minacciare altre porzioni di Europa, le suddette minoranze potrebbero intercettare gli umori di maggioranze confuse, impreparate e spaventate. Oggi gli osservatori aspettano con ansia le elezioni del Parlamento europeo e le elezioni presidenziali americane per capire se si rafforzeranno o meno, in Occidente, le forze che puntano all’appeasement con Mosca. Ma al di là dei contingenti risultati elettorali il tema per noi europei è il seguente: si riuscirà a fare capire in tempo che il mondo è cambiato, che occorre trovare la strada per ricostituire condizioni di sicurezza a fronte della minaccia armata dei tiranni? La sicurezza fisica dei cittadini europei, così come il mantenimento di condizioni di libertà e democrazia nel Vecchio Continente, dipendono dalla capacità delle classi dirigenti di scuotere dal torpore le opinioni pubbliche. Tempi stretti, scelte impegnative.

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