Fonte: Corriere della Sera
di Paolo Valentino
Nelle proiezioni trionfo del leader populista Viktor Orban (Fidesz). Secondi i nazionalisti, sinistra al 12%
La notte più lunga di Viktor Orbán si conclude con un successo superiore a tutte le previsioni della vigilia. Con il conteggio dei voti andato avanti fin nelle prime ore di stamane, il premier magiaro è in dirittura d’arrivo per conquistare il suo terzo mandato consecutivo, che lo consacra come il capo di governo più longevo dell’Unione Europea dopo Angela Merkel. Secondo i primi risultati, Fidesz, il partito di Orbán, è ancora il più votato con il 49% dei consensi, il che gli assicura nuovamente la maggioranza costituzionale dei due terzi nell’Assemblea nazionale, questa volta con 134 seggi su 199, grazie a cui negli ultimi otto anni ha avuto il pieno controllo del Paese.
Un’altissima affluenza alle urne ha reso molto incerto l’esito del voto, giunto al termine di una campagna elettorale combattuta allo spasimo, dove Orbán si è proposto come difensore della nazione e campione della cultura cristiana e occidentale, contro l’invasione islamica dall’Africa e dal Medio Oriente. Una scommessa che ha pagato. Hanno votato con una percentuale da record, gli ungheresi. Si è recato alle urne il 68,8 per cento degli aventi diritto, cioè più di 5,5 milioni di elettori, l’8% in più di quattro anni fa. Bisogna risalire al 2002 per ritrovare una partecipazione al voto più alta. Alle 19, quando si sono chiusi ufficialmente i seggi, in molte sezioni di Budapest c’erano ancora lunghe file di cittadini in attesa. A loro è stato permesso di votare, ma sono state necessarie diverse ore per completare le operazioni. Scene analoghe si sono ripetute un po’ in tutto il Paese.
Eppure l’incertezza aveva dominato per gran parte della serata. «Una partecipazione così alta significa o che la gente si è riversata in massa per sostenere Orbán, ovvero che abbiano voluto punirlo», aveva detto Peter Kreko, direttore dell’osservatorio indipendente Political Capital. Dubbi serpeggiavano perfino all’interno di Fidesz, dove veniva dato per probabile che Orbán non avrebbe ottenuto più la super-maggioranza in Parlamento, come nel 2010 e nel 2014, quella che gli ha permesso di imporre modifiche alla Costituzione in senso autoritario. «Sarebbe possibile solo se nessuno schieramento perde più di 10 distretti e c’è una differenza di almeno 20 punti tra noi e il secondo partito. Ma questo non è realistico», aveva detto alla rete televisiva privata Atv il deputato di Fidesz, Gergely Gulyas. Tagliata su misura per Orbán, la legge elettorale ungherese prevede che 106 dei 199 seggi dell’Assemblea nazionale siano eletti in collegi uninominali a maggioranza semplice. Nonostante gli accordi di desistenza raggiunti dai partiti dell’opposizione in 29 collegi, Fidesz ha vinto ben 97 mandati diretti.
L’opposizione si è illusa fino all’ultimo di poter fare la sorpresa. Prove estetiche di alleanza, le hanno messe in scena Gabor Vona, il leader di Jobbik, partito della destra ultranazionalista che questa volta ha giocato la carta della moderazione, e Bernadett Szel, candidata dei Verdi di LMP: ieri mattina si sono dati la mano davanti all’ingresso del Parlamento augurandosi reciprocamente buona fortuna. Vona ha portato Jobbik al secondo posto, con il 20% dei voti, dopo una campagna durissima contro la corruzione del sistema Orbán e un rovesciamento del suo originario euroscetticismo. . Ma il capo dell’estrema destra non ha rinunciato a una feroce retorica contro l’immigrazione, paragonandola alla «ruggine che poco a poco consuma le cose».
Al terzo posto, con il 12% è l’alleanza rosso-verde tra i socialisti di MSZP e l’altro gruppo ecologista di Dialogo per l’Ungheria, guidata dal giovane borgomastro di un distretto di Budapest, Gergely Karacsony. Anticipando, all’evidenza con troppo ottimismo, una possibile perdita anche della maggioranza assoluta da parte di Fidesz, Karacsony ha chiesto al presidente della Repubblica di «non conferire a Orbán l’incarico di formare un governo», anche se Fidesz sarà ancora il primo partito. Non sarà così. «È in gioco l’avvenire del Paese — aveva detto Orbán uscendo dal seggio elettorale — non stiamo solo eleggendo i deputati, il governo e il primo ministro, ma stiamo scegliendo il nostro avvenire». A chi gli chiedeva se una volta rieletto continuerà a battersi contro Bruxelles, Orbán ha risposto: «L’Ue non è a Bruxelles, ma a Berlino, a Budapest, a Praga e a Bucarest. Noi difenderemo gli interessi dell’Ungheria, che rimane leale membro delle organizzazioni internazionali. Noi ci batteremo per il nostro Paese».