Tra i vari problemi non è trascurabile la concorrenza spregiudicata che i migliori atenei privati fanno a quelli statali, strappando loro i docenti migliori grazie alle retribuzioni più alte
Oggi l’università italiana corre lo stesso rischio che corre la scuola. E cioè che le difficoltà poste dall’epidemia di Covid al loro normale funzionamento lascino ancora una volta in ombra i gravissimi problemi di entrambe. Che sono i problemi di due organismi ormai vicini al collasso. Da anni l’Italia non ha più un sistema di formazione in grado di svolgere in alcun modo il proprio compito: questa è la verità, sebbene troppo spesso il discorso ufficiale cerchi di nasconderla sotto un mare di demagogia e di false soluzioni per falsi problemi.
Qui limiterò il mio discorso all’Università. Non inganni l’eccellenza di alcune sedi o la meritata fama di qualche centro di ricerca. In realtà la nostra istruzione superiore risente sempre di più di una crisi profondissima a cui nel corso degli anni hanno via via concorso un’infinità di cause: dagli stanziamenti insufficienti che hanno impedito l’immissione in ruolo di nuovi docenti in sostituzione di quelli andati in pensione, alla crescente insufficienza del sistema scolastico che ha sfornato studenti sempre più impreparati. Ma più di ogni altra cosa ha influito negativamente una serie di riforme avventate e di regole antiche rivelatisi sempre più superate e dannose. È qui soprattutto, dunque, che si dovrebbe intervenire: con la
Cominciando ad esempio dal doppio sistema di lauree conosciuto come il «3+2» (cioè laurea triennale e laurea magistrale biennale) con relativa moltiplicazione/ridenominazione degli esami attraverso il meccanismo dei crediti, rivelatosi un completo fallimento. Per colpa non da ultimo degli stessi professori universitari che l’hanno spregiudicatamente piegato ai loro interessi. Concepito infatti con lo scopo di separare e incentivare il percorso degli studi di tipo professionalizzante rispetto a quello diciamo così scientifico-dottorale, e quindi di incentivare il numero dei laureati di primo livello, il «3+2» ha mancato completamente questo obiettivo. Esso non ha fatto aumentare in misura significativa l’ammontare dei laureati (siamo sempre
Il «3+2» è la perfetta illustrazione del male di fondo dell’università italiana: l’ambizione di tenere tutto insieme, di voler rappresentare lo sbocco di qualunque corso di studi superiore, dal liceo classico all’istituto professionale. Con l’ovvia appendice demenziale, ma apparentemente molto «democratica», che da qualunque corso di studio è consentito di accedere a qualunque corso universitario.