22 Novembre 2024

Fonte: La Repubblica

di Salvo Intravaglia

E’ la ricerca di Sinistra Italiana, “In & Out”, che scatta l’impietosa fotografia sul mondo della ricerca scientifica universitaria degli ultimi sette anni

Università italiana sempre più precaria: ogni dieci pensionamenti riguardanti professori o ricercatori a tempo indeterminato sono stati assunti meno di due ricercatori precari. Mentre il grosso dei ragazzi che negli ultimi anni hanno portato avanti la ricerca scientifica tra le mura universitarie è stato espulso dal sistema prima di avere la possibilità di una stabilizzazione. E’ la ricerca di Sinistra italiana, In & Out – condotta da Orazio Giancola, del Dipartimento di Scienze sociali ed economiche, dell’università La Sapienza di Roma, e Francesco M. Vitucci, Dipartimento Saperi di SI – che scatta una fotografia sul mondo della ricerca scientifica universitaria degli ultimi sette anni. Un quadro che mette a nudo la drammatica situazione in cui si trovano migliaia di giovani precari che hanno deciso di dedicare le loro giornate alla ricerca, dopo lo tsunami Gelmini che ha tagliato le risorse (economiche e di personale) alle università.
Dei quasi 100mila (99.533) addetti ai lavori – professori ordinari e associati, ricercatori ante Gelmini a tempo indeterminato, ricercatori a tempo determinato (tipo A e B), assegnisti di ricerca e titolari di una borsa di dottorato – oggi il 51,5 per cento è precario. Non ha, in soldoni, nessuna certezza di potere continuare le proprie ricerche dopo la durata del contratto o di essere stabilizzato. Per avere un’idea della dimensione del fenomeno basta citare qualche dato: nel quinquennio 2010/2015 a fronte di oltre 14mila pensionamenti di professori e ricercatori (14.492, per l’esattezza) sono stati assunti, spiega lo studio, soltanto 2.295 ricercatori a tempo determinato (tipo B), quelli che dopo avere acquisito l’abilitazione scientifica nazionale diventano “quasi” in automatico professori associati. I colleghi, sempre a tempo determinato, (Tipo A) devono incrociare le dita: in 3.687 non hanno nessuna sicurezza di diventare prof perché dopo i tre anni di incarico loro affidato possono essere prorogati per altri due anni. E se non vincono un concorso per professore associato restano senza lavoro.

Ricercatori precari nell’università: quanti sono, che fine fanno
Il grosso dei precari della ricerca comprende gli assegnisti, i dottorandi e i borsisti: un arcipelago non sempre definito. Sulle prime due categorie il Miur fornisce dati abbastanza aggiornati: 13.350 assegnisti (dato del 2017) e 31.651 dottorandi (dato del 2015). Mentre i borsisti non si possono neppure quantificare. Dal 2010 al 2016, sono quasi 43mila i giovani che sono stati titolari di un assegno di ricerca. Il grosso dei quali (il 93 per cento, pari a 40mila soggetti) dopo uno o più assegni ora è fuori dal giro. I fortunati che sono riusciti ad acciuffare un lavoro precario da ricercatore (tipo A o B) sono poco più di 3mila. E 1.326 assegnisti dei 13.350 in “servizio” nel 2017 saranno espulsi nel 2018. Perché la Gelmini ha anche pensato, e tradotto in legge, che oltre le 6 annualità non è possibile andare. L’unica speranza è il concorso per ricercatore, ma prima occorre superare la lotteria dell’Abilitazione scientifica nazionale che dopo un avvio a dir poco problematico sta per essere riformata.

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