Molte decisioni di Xi Jinping in campo economico potrebbero essere fonte di ispirazione e non solo di pregiudizio
Dal novembre dello scorso anno, quando fu bloccata la quotazione di Ant Group, il ramo finanziario del gigante dell’e-commerce Alibaba, il governo cinese ha fortemente inasprito la regolamentazione di alcuni settori chiave dell’economia, ad iniziare da quello tecnologico. La reazione dei mercati non si è fatta attendere. Dal picco di febbraio le azioni internet cinesi hanno perso oltre mille miliardi di dollari. I media e gli investitori occidentali hanno emesso un verdetto di condanna lampo: la Cina, sotto la regia del suo attuale leader, è una riedizione moderna di quella guidata da Mao Zedong. Pertanto, non è più un Paese «investibile» perché i diritti degli investitori vengono sacrificati sull’altare delle esigenze del Partito. Il presidente della Sec americana ha minacciato di cancellare dal listino i titoli cinesi, George Soros sul Financial Times ha proposto di escluderli dagli indici delle Borse mondiali sui quali investono tutti i principali investitori istituzionali, in particolare i fondi pensione americani. L’Economist, in relazione ai divieti per gli adolescenti di giocare online, ha scritto che le conseguenze di lungo termine saranno molto dolorose, ovviamente riferendosi agli utili delle aziende che producono i giochi.
Il contrasto tra la Cina e gli Stati Uniti non è certo né nuovo né sorprendente. Storia, cultura, modello politico e capitalistico non potrebbero essere più diversi. E la tensione continua a salire perché la posta in palio è la leadership economica e militare. Ma questo non dovrebbe impedirci di ragionare nel merito delle politiche di Xi Jinping e del suo governo. Certo, possiamo focalizzarci sulle motivazioni di un uomo il cui mandato scadrà il prossimo anno e che vuole essere confermato a vita nel suo ruolo. Possiamo intuire il suo desiderio di far fuori potentati e concorrenti per dominare incontrastato. Possiamo ribadire l’ovvio, ovvero che stiamo parlando di un sistema decisionale che non prevede dissenso e che per la nostra cultura sarebbe inaccettabile. Tutto vero. Ma molte di quelle decisioni potrebbero essere fonte di ispirazione e non solo di pregiudizio in un capitalismo occidentale a cui di certo non mancano i problemi.
In questo senso può venirci incontro il primo romanzo di John Grisham, quello che gli diede la fama mondiale come scrittore di legal thriller. Si intitola «Il momento di uccidere» da cui fu tratta anche una riuscita versione cinematografica. È la storia di un processo a un uomo di colore colpevole di avere ucciso i due stupratori di sua figlia minorenne. Siamo nel Mississippi degli anni ’80, la giuria è formata da soli bianchi e perfino il giudice fatica a nascondere la sua pregiudiziale razzista. Il verdetto sembra segnato ma l’avvocato, nella sua arringa finale, riesce a ribaltarlo, costringendo i membri della giuria, con una tecnica che oggi definiremmo da mentalist, a visualizzare le mostruose sevizie sopportate dalla bambina e, nel coup de théâtre finale, a immaginarla di pelle bianca.
Proviamo ora a utilizzare la stessa tecnica nel caso in questione. Immaginiamo di essere seduti davanti a un televisore con gli occhi chiusi. Siamo in attesa di ascoltare il discorso di un autorevole leader politico che non conosciamo. La trasmissione ha inizio. La voce che proviene dallo schermo è quella di una persona forte, autorevole, a tratti autoritaria. Inizia con l’analisi di un sistema economico nel quale la velocità di cambiamento generata dall’innovazione tecnologica ha di fatto reso obsolete le attuali leggi dello Stato. Denuncia l’eccesso di potere nelle mani di pochi gruppi, i cui azionisti non solo si sono arricchiti oltre ogni legittima meritocrazia ma influenzano anche la vita sociale e politica di tutti i giorni avendo accesso a tutti i nostri dati, anche quelli più personali. Analizza le conseguenze di una politica monetaria eccessivamente espansiva che ha generato spaventosi effetti collaterali, dal rialzo delle materie prime sempre più introvabili a quello del prezzo delle case e degli affitti che impedisce ai giovani e ai meno abbienti di potere almeno immaginare una famiglia.
Con nostra sorpresa, lo ascoltiamo con interesse. Non è la solita sfilza di promesse elettorali. Sta parlando di cose che ci riguardano da vicino e sembra avere le idee chiare su dove voglia portare il Paese. Facciamo persino fatica a controllare un certo entusiasmo quando quella voce profonda parla del benessere dei bambini e degli adolescenti, che vanno protetti dal gaming online, attività che gonfia i portafogli delle aziende produttrici ma inaridisce i cuori e i cervelli delle nuove generazioni. E l’entusiasmo aumenta quando viene denunciata forse la peggiore delle iniquità, quella della formazione, dove un sistema di accessi alle scuole sempre più rigido obbliga le famiglie a spese folli per le tutorship private e gli studenti a carichi di lavoro intollerabili. La voce a questo punto sale di tono. Lo Stato dice basta a tutto questo. È il momento di agire, ora, subito, con leggi e regolamentazioni che non guardino in faccia nessuno. Perché quello che ci deve stare a cuore è la sostenibilità della crescita e il benessere del popolo nel lungo termine. Per questo, conclude, interverremo con mano ferma e senza curarci degli effetti di breve, men che meno delle reazioni dei mercati finanziari. Il tempo ci darà ragione.
Ora, continuando a mantenere gli occhi chiusi, visualizziamo quel leader. Alle sue spalle ha un ritratto di Adam Smith. È il nuovo presidente degli Stati Uniti. Ci ha appena indicato la strada da seguire per un futuro migliore.