Fonte: Corriere della Sera
di Ferruccio de Bortoli
L’americana Jp Morgan è istituzione seria ma un po’ più di trasparenza nei rapporti con il governo e nella ristrutturazione del capitale Mps è necessaria, anche perché è impegnata pure nell’aumento di Unicredit
Sono giornate decisive per il futuro del sistema bancario italiano. Discussioni private molto accese, ed è un eufemismo. Dibattito pubblico pressoché assente. Dobbiamo tutti augurarci che il Monte Paschi risolva finalmente i suoi problemi di ricapitalizzazione e di sistemazione dei crediti in sofferenza, che le quattro good bank (Marche, Ferrara, Chieti, Etruria) trovino un compratore, che il fondo Atlante completi il salvataggio degli istituti veneti e non solo. Naturale che il governo sia impegnato al massimo nel promuovere una soluzione privata. Un intervento pubblico, per la normativa europea, penalizzerebbe azionisti e obbligazionisti subordinati e non. Il senso di responsabilità nazionale non ci impedisce, anzi ci impone, di avanzare qualche scomoda questione. Le modalità con cui è stato cambiato il vertice a Siena avrebbero scatenato, in altri tempi, forti polemiche. Cominciamo da una telefonata. È il 7 settembre. Il ministro dell’Economia Padoan, su incarico di Renzi, chiama il presidente Massimo Tononi, per dirgli «da ambasciatore» di licenziare l’amministratore delegato Fabrizio Viola. Il Tesoro ha solo il 4 per cento della banca quotata in Borsa. Tononi non gradisce la procedura irrituale e qualche giorno dopo si dimetterà. Fa presenti le difficoltà di trovare – nelle condizioni particolari in cui versa la banca che pure oggi guadagna – un sostituto. Il ministro gli dice che il nome c’è già. E’ Marco Morelli, professionista molto apprezzato ma con un passato nell’istituto senese
Gli organi societari, in questa circostanza, sono ridotti a soprammobili. Gli altri azionisti non contano nulla. L’incarico al cacciatore di teste, una finta. La forzatura è figlia di un accordo tra il governo e la banca americana Jp Morgan del quale non sappiamo nulla. Renzi incontra a pranzo a palazzo Chigi il numero uno Jamie Dimon su sollecitazione di Claudio Costamagna, presente l’ex ministro Vittorio Grilli, oggi in Jp Morgan. Una delle più grandi banche d’investimento mondiali promette di impegnarsi nell’aumento di capitale di Siena, nella concessione di un finanziamento ponte (bridge financing) finalizzato alla successiva cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (non performing loans). Agli americani Viola non piace, preferiscono Morelli che ha lavorato con loro. La Bce non gradisce la sostituzione. L’amministratore delegato uscente, peraltro, aveva appreso della sua sostituzione da un sms scrittogli da Marco Carrai, non si sa a quale titolo interessato alla vicenda.
Può darsi che la proposta di Jp Morgan, con Mediobanca in un ruolo minore, sia l’unica percorribile. Ma visto l’attivismo di Renzi e Padoan, se dovesse fallire coinvolgerebbe l’intero governo, complicando la soluzione B (capitale pubblico) che pure si sta studiando. Quali sono gli accordi allora? E qui la vicenda si complica. E si fa oscura. Al momento non risulterebbe firmato alcun contratto tra Mps e Jp Morgan per il prestito e la cartolarizzazione. Particolare curioso. Solo un pre underwriting agreement, e solo per l’aumento di capitale: poco più di una stretta di mano. Il successo dell’aumento di capitale (cinque miliardi) comporterebbe per Jp Morgan una commissione del 4,75 per cento che sia Tononi sia Viola hanno giudicato elevata. Ma sono i crediti in sofferenza posti a garanzia, e la loro messa sul mercato attraverso cartolarizzazioni a sollevare non poche perplessità. In sintesi, l’operazione è questa. Mps cede 9 miliardi di sofferenze nette su 28 lorde. Svalutandole in bilancio, prima della cessione, si crea un ammanco di capitale che va coperto. A fronte della cessione di 9 miliardi di sofferenze, Mps dovrebbe ottenere 7,6 miliardi, di cui 1,6 da Atlante e 5 da Jp Morgan come prestito ponte per 18 mesi.
Il prestito guidato da Jp Morgan però sarebbe concesso con la garanzia di tutti i non performing loans. Se qualcosa dovesse andare storto, la banca d’affari si prenderebbe tutti i 28 miliardi a un prezzo effettivo di 18 centesimi contro i 33 riconosciuti alla banca, di cui 27 pagati subito. Il margine di guadagno potenziale sarebbe elevatissimo. E Atlante, cui partecipano 69 istituzioni italiane, compresa la Cassa depositi e prestiti con i soldi del nostro risparmio postale, perderebbe tutto. Non solo. Jp Morgan per fare una valutazione delle sofferenze ai fini del prestito, ha incaricato Italfondiario del gruppo americano Fortress mettendo in discussione la scelta fatta da Atlante che si è affidato a Fonspa. Qui si pone anche un duplice rischio. Il primo che Italfondiario fornisca una valutazione dei crediti in sofferenza inferiore a quella garantita ad Atlante, a tutto vantaggio delle banche creditrici, soprattutto Jp Morgan. Il secondo che si formi una posizione dominante visto che Italfondiario non si limiterebbe, come Fonspa, alla valutazione dei crediti, ma è anche il principale operatore nella gestione e nella riscossione. Tutto ciò sarebbe in contrasto con il memorandum of understanding siglato da Mps con Quaestio, ovvero Atlante, e reso pubblico, che prevede «concorrenza e trasparenza» nella gestione di un mercato delle sofferenze che avrà dimensioni colossali.
Con l’indebolirsi delle grandi banche d’investimento europee (Deutsche Bank è il caso più clamoroso), le istituzioni americane hanno gioco facile. Ne ha parlato ieri su queste colonne Lucrezia Reichlin. Muovono capitali ingenti, arruolano ex capi di governo e ministri. Jp Morgan è istituzione seria. Ma un po’ più di trasparenza nei rapporti con il governo e nella ristrutturazione del capitale Mps appare opportuna, specie tenendo conto che la banca americana sarà impegnata anche nell’aumento di Unicredit. Tra i tanti dubbi che questo caso solleva, ci rimane da capire quali consigli darà Jp Morgan alla sua clientela nello scegliere tra i titoli dei due istituti, Mps e Unicredit. E se poi, nello sbrogliare la matassa di Siena, non avrà alcun ruolo chi confezionò, in Jp Morgan, ai tempi di Mussari e Vigni, il famoso, o meglio famigerato, strumento finanziario «Fresh» per l’acquisto da parte di Mps di Antonveneta. Uno strumento complicatissimo che permise alla Fondazione Monte Paschi di mantenere il controllo a Siena, però con soldi a debito. Operazione che ottenne l’avallo dello stesso Grilli, allora direttore generale del Tesoro con supervisione delle Fondazioni. I guai cominciarono lì. La memoria del Paese è corta. Quella di risparmiatori, azionisti e lavoratori delle tante banche coinvolte un po’ meno. Rinfrescarla fa bene a tutti.