8 Settembre 2024
Roma Ursula von der Leyen

Punta tutto su difesa e competitività. Ma un secondo mandato non è scontato

Il Green Deal come marchio di fabbrica del suo primo mandato è ormai soltanto un ricordo. Per il suo bis alla guida della Commissione, Ursula von der Leyen ha deciso di cambiare la scaletta delle sue priorità: al primo posto c’è la Difesa, in particolare il sostegno all’industria militare europea, al secondo c’è la necessità di supportare la competitività delle imprese europee. Un programma obbligato visto che questa volta la sua candidatura non potrà essere “calata dall’alto” come cinque anni fa, estratta dal cilindro di Emmanuel Macron durante le trattative post-elettorali tra i leader. Questa volta von der Leyen dovrà passare per una campagna elettorale sotto l’insegna del Partito popolare europeo e in particolare del suo partito, la tedesca Cdu. L’esito del percorso iniziato ieri, con l’ufficializzazione della candidatura come Spitzenkandidaten, è dunque tutt’altro che scontato perché per arrivare fino in fondo bisogna superare diverse tappe e dietro ognuna di esse si nascondono insidie. Su una cosa, però, è stata netta: nessuna collaborazione con i partiti dell’estrema destra.
L’arrivo sul palco della Konrad Adenauer Haus – sede federale della Cdu a Berlino – è stato accompagnato dagli applausi. Ma il calore è un’altra cosa. Sono applausi di circostanza quelli che gli tributa il suo partito. I cristiano-democratici tedeschi di Friedrich Merz hanno scelto di incoronare «all’unanimità» una personalità che non amano, ma che non ha rivali nel suo ruolo all’interno del partito tedesco. Von der Leyen può vantare buone relazioni internazionali e soprattutto – ci tiene a ricordare pubblicamente Merz – ha ottimi rapporti con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Un asso da giocare di non poco rilievo in questo momento perché «la sicurezza sarà la cosa più importante in questi prossimi anni, insieme all’economia», dice il numero uno della Cdu, il partito che conta nel Ppe il gruppo più numeroso di delegati.
Il mandato politico che arriva da Berlino è che «la futura Commissione deve fare in modo che l’Europa resti competitiva al livello mondiale», dichiara Merz. In modo che l’industria tedesca non perda (ancora) quote di mercato – è il sottotesto. In passato dalle file della Cdu e in particolare della Csu (l’omologo partito bavarese) sono arrivate critiche più o meno velate al Green Deal di Bruxelles. Perfino ieri un esponente della Csu ha rilasciato una dichiarazione dove ricordava che «von der Leyen ha riconosciuto troppo tardi che non si protegge l’ambiente con la burocrazia». Per questo il programma presentato ieri a Berlino è studiato per suonare come musica alle orecchie del partito che ha scelto di sostenerla.
Il discorso di von der Leyen ruota intorno a tre pilastri: il primo è «migliorare la capacità difensiva dell’Europa ampliando l’industria della difesa», con la nomina di un commissario ad hoc. In secondo luogo si punta ad abbattere la burocrazia, e in particolare «ridurre la gli obblighi di rendicontazione di un 25%». Infine cambia l’asse prospettico sul Green Deal: restano gli obiettivi ambientali, ma andranno portati avanti «insieme con l’industria».
La strada per il bis alla Commissione, però, è soltanto all’inizio. Il 6 marzo von der Leyen sarà incoronata ufficialmente come candidato di punta del Ppe al congresso di Bucarest, anche se in realtà lei ha deciso di non correre per un seggio al Parlamento europeo. Sulle liste, quindi, il suo nome non ci sarà. Con ogni probabilità il Ppe sarà ancora il primo partito, ma la sua riconferma non sarà automatica: dopo il voto, servirà il via libera (a maggioranza qualificata) del Consiglio europeo e successivamente il voto dell’Europarlamento. Cinque anni fa fu eletta con nove voti di margine e quest’anno il suo riallineamento sulle posizioni del Ppe potrebbe farle perdere qualche sostegno nel campo socialista, anche perché si voterà a scrutinio segreto.
Von der Leyen ha provato a tracciare una linea netta alla sua destra, assicurando che non intende collaborare con «gli amici di Putin», citando «Afd, Marine Le Pen, Wilders e altre forze estremiste». Si tratta degli alleati della Lega, che infatti ha subito sparato a zero contro il bis della tedesca. La premier Meloni, invece, si era detta disponibile a sostenerla. Si tratta di un nodo politico che a un certo punto verrà al pettine.

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