Fonte: La Repubblica
di Elena Dusi
Negli Stati Uniti le scosse sono aumentate di quasi 100 volte in 40 anni. L’ultima, di magnitudo 5.0, in Oklahoma. La colpa non è solo del fracking, quanto delle procedure di smaltimento delle acque contaminate. E in Italia c’è una faglia attiva osservata speciale
Cushing, in Oklahoma, è uno dei crocevia mondiali del petrolio. Solo dal suo territorio sono partiti 58,5 milioni di barili di greggio dall’inizio dell’anno. Ma oggi la cittadina che con orgoglio definisce se stessa “Pipeline Crossroads of the World” è a pezzi. Un terremoto di magnitudo 5.0 ha distrutto una cinquantina di case e mandato all’ospedale 150 persone. E’ la terza volta che accade dall’inizio dell’anno. Il 3 settembre un terremoto di magnitudo 5.8 aveva registrato il record nella storia dello stato. Gli esperti hanno correlato senza troppe esitazioni le scosse all’attività di estrazione. Ma nessuno sembra aver preso la cosa troppo sul serio.
Altro che California. Lo stato più colpito dai terremoti negli Usa oggi è diventato l’Oklahoma. E lo è diventato a causa del petrolio. In particolare di quella procedura che prevede lo smaltimento di enormi quantità (milioni di metri cubi) di acque reflue attraverso la loro reiniezione nel sottosuolo, quantità talmente alte da riuscire a modificare la pressione dei fluidi nelle rocce fino a destabilizzare eventuali faglie attive, se presenti lì sotto. “Insieme agli idrocarburi, sia durante l’estrazione convenzionale che con il fracking necessario per lo sfruttamento di giacimenti di gas in sedimenti argillosi (shale gas), viene fuori molta acqua, ricchissima di sale e contaminanti” spiega Luigi Improta dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). “Depurarla sarebbe impraticabile allora si decide di smaltirla a profondità di 2-4 chilometri in rocce molto permeabili al di sotto dei giacimenti da cui sono estratti gli idrocarburi”.
Il legame fra estrazione (con o senza fracking) e terremoti è diventato chiaro negli ultimi anni. Ma neanche l’evidenza ha fermato l’industria estrattiva. Negli anni ’70 nel Midwest degli Stati Uniti si registravano 21 terremoti all’anno di magnitudine pari o superiore a 3. Nel 2011 erano 188. “L’attività umana è parzialmente responsabile dell’aumento” scrisse su Science William Ellsworth dell’USGS, l’istituto geologico statunitense, già nel 2013.
In Oklahoma nel 2013 i terremoti superiori alla magnitudo 3.0 erano stati 109. Nel 2014 sono saliti a 585 e nel 2015 a 890. In Texas, dal 2008 a oggi, il numero di terremoti è aumentato di sei volte. Ai petrolieri è stato chiesto di ridurre volume e pressione dell’acqua iniettata nei pozzi. Il numero di scosse è leggermente diminuito, ma questo non ha impedito oggi a Cushing di finire a pezzi, dopo uno stillicidio di scosse che durava da mesi.
Secondo l’USGS l’attività estrattiva è legata a scosse avvenute negli ultimi anni in Arkansas, Colorado, New Mexico, Ohio, Oklahoma, Texas e Virginia. Una ricerca appena uscita sul Bulletin of the Seismological Society of America attribuisce una probabile causa umana anche al grande sisma di Los Angeles del 1933 (un centinaio di vittime), in un’epoca in cui il petrolio veniva tirato su ovunque e con qualunque mezzo, senza conoscere granché del sottosuolo.
Di terremoti “indotti” dalle attività di sfruttamento degli idrocarburi esistono indizi in Usa, Canada, Uzbekistan (un magnitudo 7.0, forse, nel 1984). E anche in Italia. Per il sisma del 2012 in Emilia fu per un attimo sospettato il giacimento di Cavone. Ma le sue dimensioni ridotte, la distanza dall’ipocentro e recenti studi sismologici e geologici hanno escluso un legame. Osservata speciale resta invece la Val d’Agri, dove l’estrazione di idrocarburi e la presenza di un lago artificiale sono chiaramente legati a una serie di sismi che hanno raggiunto la magnitudo massima di 2.7 (appena percepibili dall’uomo). “Le iniezioni d’acque reflue nel pozzo dell’Eni di Costa Molina 2 – spiega Improta – iniziarono nel giugno del 2006. Immediatamente, nel giro di poche ore, le stazioni sismiche dell’INGV registrarono uno sciame di microterremoti con magnitudo massima di 1.8””.
Il lago Pertusillo, con la sua diga alta 95 metri, dal 1963 raccoglie fino a 155 milioni di metri cubi d’acqua. Visto che alimenta anche l’acquedotto pugliese, la sua altezza può oscillare fino a 40 metri. Le variazioni di pressione sul terreno destabilizzano una zona nota per il suo rischio sismico: qui nel 1857 la terra tremò raggiungendo una magnitudo di 7.0 e uccidendo 11mila persone. Già nel 2009 uno studio dell’INGV concluse che: “La correlazione temporale fra l’intensa microsismicità e le variazioni del livello del lago Pertusillo suggeriscono che le sequenze siano innescate dal bacino”.
Il pozzo di Costa Molina 2, dove viene reiniettata l’acqua reflua delle attività di estrazione dell’Eni nella zona, è finito invece al centro dei sospetti quando il 28 dicembre 2014 – la Val d’Agri è stata colpita da un terremoto di magnitudo 3.2. “Ma quel sisma aveva tutte le caratteristiche di una scossa naturale” spiega Improta. “Oggi con la nostra rete di sismometri, insieme a quella dell’Eni, monitoriamo costantemente la Val d’Agri edinviamo ogni anno una relazione alla Regione Basilicata. Ma i volumi di acque reflue iniettate nei giacimenti in Italia, rispetto al Midwest, sono irrisori. Le due situazioni non sono paragonabili”.
Oggi grazie all’esperienza americana si sa che le attività legate all’estrazione possono causare terremoti fino a 20 km di distanza, per anni. La credenza erronea che le attività umane potessero scuotere la terra solo in maniera limitata è stata demolita insieme alle case di Cushing. Se fracking ed estrazione convenzionale di idrocarburi hanno dimostrato di poter indurre terremoti fino a magnitudo intorno alla 3, la re-iniezione di enormi volumi di acque reflue può innescare terremoti di energia molto maggiore. Nessuno sa esattamente quanto.
“I terremoti in Oklahoma – ha scritto in uno studio del 2015 su Science Advances Rall Walsh, geologo di Stanford – sarebbero avvenuti comunque prima o poi. Ma iniettando acqua ad alta pressione nelle faglie è come se avessimo accelerato l’orologio, facendoli scattare oggi”.
Procede invece a passo di lumaca, negli Stati Uniti, l’orologio della prevenzione. Il sospetto che premere sul sottosuolo fosse un gioco pericoloso risale infatti al 1961, quando l’esercito americano decise di smaltire uno stock di munizioni biologiche (probabilmente antrace) iniettandole ad alta pressione in profonditàvicino Denver. Subito, nei dintorni del Rocky Mountain Arsenal, iniziò una sequenza di piccole scosse, che andarono avanti fino al 1967 con un picco di magnitudo 4.8. Se anche il prezzo del petrolio scendesse tanto da chiudere oggi i pozzi dell’Oklahoma, gli abitanti di Cushing dovrebbero aspettare anni per tornare a sentirsi al sicuro.