Sergei Vakulenko, una laurea all’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca, un master alla Fletcher School of Law and Diplomacy in Massachusetts, è un veterano dell’industria del gas e soprattutto del petrolio. Prima di lasciare la Russia pochi mesi fa, per 25 anni ha lavorato da Londra, dall’Aia e infine da San Pietroburgo per società di consulenza e alcune delle più grandi aziende russe e internazionali del settore. È stato il primo, nelle ultime settimane, a prevedere (correttamente) che Gazprom avrebbe ridotto le forniture all’Unione europea. Pochi capiscono come lui l’interazione fra la strategia della tensione di Vladimir Putin sull’energia e le sanzioni occidentali.
Dottor Vakulenko, lei già a inizio maggio scrisse che Gazprom avrebbe tagliato le forniture all’Unione europea. Ora si aspetta che le riduca a zero?
«Non lo so, non ho informazioni dall’interno. Ma la logica del conflitto imporrebbe una mossa del genere. La logica del conflitto dovrebbe suggerire a Putin che prima si muove in quel senso, meglio è per lui. Finora l’Europa riesce a mantenere un certo equilibrio negli approvvigionamenti di gas, anche se con qualche problema. Le cose saranno però diverse il prossimo inverno, quando serviranno sia forniture continuamente nuove che prelievi dagli stoccaggi. A quel punto stoccaggi insufficienti renderebbero l’Europa molto più vulnerabile a interruzioni delle forniture. Perché ciò accada, la logica suggerisce che la Russia dovrebbe impedire un riempimento degli stoccaggi adesso. Ma, ripeto, non ho idea delle intenzioni di Putin».
Lei ritiene che alla lunga l’industria russa possa essere danneggiata dalla carenza di parti e componenti oggi sottoposte alle sanzioni occidentali?
«Non sono in grado di parlare in dettaglio di tutti i settori, ma la Russia ha un’industria moderno e tecnologicamente complessa. Dipende da catene di approvvigionamento ampie e articolate, come qualunque altra economia moderna. Oggi nelle filiere globali la produzione di molte componenti è dominata in gran parte da uno o da pochi operatori. È così che funziona l’economia globale: l’interdipendenza è molto forte. La Russia ha bisogno di importazioni fondamentali dal resto del mondo, così come alcuni input fondamentali arrivano dalla Russia e non solo nell’energia».
Per esempio?
«Boeing utilizza parti in titanio che vengono dalla Russia, così come l’industria russa avrà bisogno di componenti occidentali che sarebbero difficili da sostituire grazie ad altri fornitori».
Dunque la mancanza di componenti industriali si farà sentire in Russia già in autunno?
«Nel breve periodo probabilmente sono pochissimi i macchinari che hanno bisogno di essere sostituiti. Le scorte di materiali e pezzi di ricambio nella maggior parte delle aree sono abbastanza alte da coprire le necessità almeno fino alla fine dell’anno. Potrebbero esserci alcune difficoltà isolate, ma in generale non mi aspetto grandi interruzioni nei prossimi mesi».
E più avanti nel tempo?
«Ci sarà un certo logorio, anche nell’industria del petrolio. Inizialmente una o due pompe, una o due turbine, uno o due impianti di perforazione potrebbero smettere di funzionare. Ma non credo che questa sarà la situazione generale del settore molto presto, anche una volta che le scorte di pezzi di ricambio siano esaurite. Come nel caso dell’aviazione, inizialmente i pezzi di ricambio potrebbero essere ricavati da equipaggiamento sacrificato apposta. E alcune carenze potrebbero compromettere la qualità del prodotto nella raffinazione o la precisione e l’efficienza della perforazione o del fracking. Ma ci vorrà tempo prima che questi effetti comincino ad accumularsi. Penso ci vorranno circa due anni prima che l’effetto delle sanzioni sull’industria e sulle esportazioni di tecnologia si faccia sentire e diventi più pronunciato».
È vero che Cina e India stanno acquistando gran parte del petrolio russo che l’Europa non importa più?
«L’Europa ha ridotto le sue importazioni in modo sostanziale, ma esistono alcuni schemi che permettono di esportare petrolio e prodotti petroliferi russi in Europa un po’ di nascosto. Finora non c’è stato un divieto formale di importazione in Europa, solo boicottaggi volontari. E poiché in Europa esistono raffinerie controllate da russi che non hanno aderito al boicottaggio, le importazioni marittime non si sono azzerate e le importazioni via oleodotto restano consistenti. Una gran quantità di petrolio che veniva esportato da Novorossijsk sul Mar Nero principalmente verso la Sicilia e da Primorsk nell’Oblast di San Pietroburgo, principalmente verso Anversa e Rotterdam, ora viene caricato su petroliere dirette verso la Cina e l’India attraverso Gibilterra, Suez, il Golfo di Aden, per portare il greggio in Asia. C’è l’oleodotto dalla Siberia orientale alla Cina – Espo – che ha una capacità di 80 milioni di tonnellate all’anno, un terzo dell’intero export russo».
Ma trasportare il greggio in Asia non è più costoso?
«Il viaggio verso l’Europa era di due settimane, ora verso l’Asia è di due mesi. Il trasporto costa di più e gli esportatori hanno bisogno di un numero di navi cisterna quattro volte superiore. Ma l’aumento dei costi è al di sotto dei dieci dollari a barile, quindi i margini di profitto sono ancora consistenti».
In sostanza, le sanzioni occidentali stanno avendo o no un effetto sulla capacità del Cremlino di fare la guerra e controllare il Paese?
«Dipende dall’orizzonte temporale. Le sanzioni non potranno essere molto efficaci durante il primo anno. Nel frattempo, la capacità della Russia di spendere valuta estera nei mercati occidentali è diminuita. Persino l’India e la Cina potrebbero essere riluttanti ad accettare pagamenti in euro e dollari e a fornire all’industria russa i pezzi di ricambio di cui ha bisogno, dato che l’Occidente minaccia di colpirle con sanzioni secondarie».
Dunque lei che sviluppi prevede?
«Alla fine la Russia si troverà a corto delle importazioni necessarie e qualche figura intraprendente cercherà un modo di aggirare le sanzioni, anche se parzialmente e a caro prezzo. Ci vorrà comunque un po’ di tempo prima che l’effetto delle sanzioni si faccia sentire in pieno».
E nel lungo termine?
«L’attuale guerra economica sta accelerando la transizione energetica, in Europa e non solo. Un anno fa si parlava solo di cambiamento climatico, oggi si parla di sicurezza e indipendenza energetica per l’Europa. Nel breve periodo ci sarà un costo per i consumatori europei e tutto ciò sarà negativo per l’economia. Ma tutto questo darà anche il via a maggiori investimenti e ridurrà i pagamenti da parte dell’Europa ai fornitori stranieri di petrolio o gas. Quindi, a lungo termine, la situazione è negativa per la Russia e migliore per l’Europa».
Nel G7 e nell’Unione europea si parla di studiare un tetto al prezzo del petrolio e anche gas. Lei che ne pensa?
«Sto lavorando su questa questione. In sintesi, non credo che questi limiti di prezzo funzioneranno. Sul mercato, in questo momento, il potere negoziale sta dalla parte di chi vende».