Fonte: La Repubblica
di Anais Ginori
Il premier francese si rivolge anche all’Italia e a Renzi: “Dire che non c’è guerra è una negazione della realtà”. La risposta di Roma all’altezza? “Cosa succederebbe se dicessi di no?”
PARIGI – “Siamo in guerra, dobbiamo imparare a convivere con una minaccia permanente. Combatteremo, e alla fine vinceremo”. Manuel Valls annuncia nuove misure contro il terrorismo che ha colpito la Francia dieci giorni fa, tra cui il possibile allungamento dello stato di emergenza, la chiusura a nuovi migranti e l’appello alla solidarietà per la sicurezza tra paesi Ue.
“L’Europa deve essere all’altezza della sfida. Il terrorismo può colpire altrove” spiega il capo del governo, incontrando un gruppo di giornalisti stranieri. Valls sostiene che “non è finita”, nuovi attacchi sono possibili “nelle settimane, nei mesi a venire “. E lancia un messaggio chiaro anche a Matteo Renzi che arriva domattina nella capitale francese per incontrare François Hollande. “Rifiutare di usare la parola guerra, è una forma di negazione della realtà. L’Italia è minacciata dal terrorismo vista la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo”.
La risposta di Roma dopo gli attacchi del 13 novembre è stata all’altezza? “Cosa succederebbe se dicessi di no?” elude Valls. Mentre Hollande è a Washington, il premier rilancia anche la necessità di una nuova coalizione per lottare contro l’Is. “Quello che è avvenuto nei cieli della Turchia dimostra che c’è bisogno di un coordinamento ” spiega Valls rispondendo alle domande per oltre un’ora.
“Dobbiamo metterci d’accordo sulla priorità nell’intervento militare. I russi dicono di voler combattere l’Is ma finora bombardano soprattutto gli oppositori al regime di Assad. Per la Turchia vale lo stesso: i nemici non sono i curdi, ma l’Is. Nel nord dell’Iraq bisogna appoggiare i soldati iracheni, le milizie sciite e i curdi. In Siria, vale lo stesso: non si può immaginare di lasciare fuori i paesi sunniti, i russi lo devono capire”.
“Dobbiamo affrontare individui estremamente determinati, che usano diverse identità, sanno mimetizzarsi tra la popolazione. Il solo esempio storico è forse quello del terrorismo basco, mischiato tra la gente. La novità di oggi è il numero di persone coinvolte, all’esterno e all’interno della società, con una rete organizzativa imponente “.
“Non è finita. Gli uomini del gruppo che ha colpito il 13 novembre non sono stati tutti fermati, la rete di complicità non è ancora smantellata. Ho allertato sul rischio di altri attentati, anche chimici sull’esempio di quanto accaduto a Tokyo vent’anni fa, perché è la verità. Siamo a un tornante, abbiamo cambiato epoca. Non significa cedere alla paura, ma tutti dobbiamo imparare a convivere con una minaccia permanente”.
“Non mi interessano i dibattiti semantici. L’attacco del 13 novembre è un atto di guerra, non per conquistare un paese, ma per spezzare, dividere la sua società. Sarà una guerra lunga e difficile perché i nostri paesi non sono più abituati, le popolazioni hanno dimenticato che la Storia può essere profondamente tragica “.
“Non è una privazione di libertà. È uno strumento che ci permette di dispiegare due mezzi supplementari contro il terrorismo: le perquisizioni senza autorizzazione giudiziaria e gli arresti domiciliari fino a dodici ore. Alla fine dello stato di emergenza, tra tre mesi, vedremo se prolungare o se varare leggi ad hoc”.
“È urgente controllare l’ondata migratoria. L’Europa gioca qui il suo destino. Bisogna dimostrare ai cittadini che siamo efficaci, se non lo faremo sarà la vittoria dei populisti. Intanto, noi abbiamo ristabilito i controlli alle frontiere, assumendo mille agenti supplementari. Sarò chiaro: non possiamo accogliere nuovi migranti in Europa. La Germania ha fatto la sua scelta. Per quanto, ci riguarda non è più possibile”.
“Voglio preparare le popolazioni. Non sono le parole che creano ansia, sono gli atti terroristici. Se il livello di allarme lo impone, è giusto decidere di chiudere scuole e trasporti in una città come ha fatto il Belgio. D’altra parte non possiamo mettere un poliziotto ogni dieci metri. Garantire il rischio zero è impossibile. Si può lavorare soprattutto sulla prevenzione”.
“Non ci sono stati errori dell’intelligence. Alcuni terroristi erano conosciuti dai nostri servizi segreti, altri no. Alcuni erano già in Francia, in Belgio, altri sono venuti nei barconi con migranti, sono riusciti a eludere i controlli con documenti falsi. Dobbiamo adattarci continuamente alla minaccia”.
“Quando ho parlato di Apartheid sociale non cercavo alibi per i jihadisti. Non c’è povertà o esclusione che possa giustificare francesi che imbracciano le armi contro loro compatrioti. Questa volta l’unica risposta è la lotta ai terroristi. La battaglia sui valori e contro le disuguaglianze è giusta, e la stiamo facendo da tempo. Ora la priorità è annientare i terroristi, prima di tutto. Delle cause ci occuperemo dopo”.