Fonte: Corriere della Sera
di Franco Venturini
Sono passati ormai più di tre mesi da quando Guaidó ha sfidato Maduro. E il «presidente dell’opposizione» ha provato a giocare tutte le sue carte. La situazione è fluida. E rischiosa: perché per la prima volta le forze di terra di Usa e Russia potrebbero fronteggiarsi
Stanco di aspettare, il «presidente dell’opposizione» Juan Guaidó ha giocato ieri mattina tutte le sue carte. Sono passati ormai più di tre mesi da quando Guaidó ha sfidato il «presidente del potere» Nicolás Maduro e si è autoproclamato suo legittimo successore. Cinquanta Paesi lo hanno riconosciuto (non l’Italia, ma più per i contrasti tra Lega e 5Stelle che per una vera scelta di politica estera).
Gli Stati Uniti hanno sottoposto il regime al potere a sanzioni durissime. La Russia e la Cina hanno invece difeso Maduro. La popolazione è in miseria, mancano spesso elettricità e acqua ma gli aiuti sono stati respinti. E i militari, soprattutto, non hanno sin qui preso partito contro il potere chavista.
In Venezuela non è più il tempo dell’attesa, deve essersi detto Guaidó. Ecco allora che per la prima volta si sono visti davanti a una base aerea e nelle vie del centro di Caracas piccoli reparti militari con pezzi di stoffa blu attorno al collo e al braccio per farsi riconoscere come anti-Maduro, ecco gli scontri tra manifestanti civili e pretoriani del regime, ecco il pieno appoggio di Washington (il segretario di Stato Pompeo ha persino evocato un piano di fuga di Maduro, che la Russia avrebbe sconsigliato), appoggio del Brasile e dell’Argentina a Guaidó e la Spagna favorevole invece, mentre Bruxelles tace e aspetta, a un processo democratico che porti a nuove elezioni senza l’uso di una forza che in realtà già viene usata.
Si ha l’impressione di una situazione fluida, mentre sono enormi, questo è certo, i pericoli che la mezza insurrezione e la mezza repressione innescano. Un blindato di Maduro che ha investito i manifestanti di Guaidó ha riportato alla memoria la strage della Tienanmen di cui cade quest’anno il trentennale, ed è questo il primo rischio: una rivolta strisciante che diventa guerra civile se i militari davvero si divideranno. Se davvero Guaidó sarà riuscito a portare dalla sua parte unità importati dell’esercito, isolando la guardia nazionale che difende Maduro. Bisognerà aspettare e vedere.
Ma nel frattempo potrebbe prendere corpo un pericolo ancora più grave. Le forze militari americane sono dietro l’angolo e, hanno detto, «non interverranno». Ma almeno cento consiglieri militari russi sono in Venezuela, in attuazione, ha spiegato Mosca, di vecchi accordi con Caracas. Se Washington decidesse di muovere i suoi uomini, saremmo tutti sull’orlo del primo scontro diretto tra forze di terra Usa e forze russe. Putin ha subito convocato il suo consiglio di sicurezza e a Washington si tengono analoghe riunioni. Per scongiurare il peggio, più che per vincere.
E così si torna alle solite domande. Chi ha parlato con i militari, sembra senza successo? Qualcuno è in grado di mediare? Si arriverà a libere elezioni, malgrado gli errori e le colpe di tutti i protagonisti attuali? Molti interrogativi e risposte tutte da costruire. Mentre i venezuelani, questa è l’unica certezza, sono al limite della resistenza e chiedono aiuto.