22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Marco Castelnuovo

Se la maggioranza del Parlamento non darà la fiducia al governo neutrale, la strada per i partiti si stringerebbe ulteriormente, secondo i paletti fissati da Mattarella

Sembra abbia detto: «Ora basta». Dopo il quinto giro di consultazioni, il Presidente Mattarella ha deciso. L’Italia avrà un nuovo governo, scelto dal Presidente, neutrale rispetto a tutte le forze politiche. Nel momento in cui giurerà decadrà il governo Gentiloni, scelto e votato dal Parlamento precedente e ora in carica per l’ordinaria amministrazione. Dopo il giuramento, quindi quando sarà in carica a tutti gli effetti, il governo del Presidente si presenterà alle Camere per ottenere la fiducia. Qualora non riceverà il sostegno della maggioranza di deputati e senatori, il governo si dimetterà immediatamente, ma gestirà l’ordinaria amministrazione che porterà il Paese alle urne. In fondo è già successo 5 volte, l’ultima nell’aprile 1987 (Fanfani VI), che il governo non abbia ottenuto la fiducia iniziale e si sia dimesso immediatamente.

Se invece le forze politiche daranno il proprio sostegno al «governo neutrale», questo entrerà in funzione fino a dicembre: giusto per dare il via libera alla legge Finanziaria e a scongiurare l’aumento dell’Iva. Ipotesi ad ora remota, visto che i partiti che hanno «vinto» le elezioni e che insieme hanno i numeri per formare una maggioranza, hanno già chiuso alla possibilità di votare questo tipo di governo. Uno schiaffo al Presidente e al suo sforzo di mettere i partiti di fronte alle proprie responsabilità. Resta da capire se il «voto a luglio» che ora invocano sia tecnicamente possibile. Il governo neutrale verrà formalizzato presumibilmente questa settimana, e entro dieci giorni dovrà chiedere la fiducia in entrambe le Camere. Se la fiducia non c’è, il Presidente può sciogliere le Camere e indire nuove elezioni che si devono tenere tra i 45 e i 70 giorni dallo scioglimento. Per avere il minimo di 45 giorni previsto, così da consentire il voto il 22 luglio, dunque, le Camere andrebbero sciolte al massimo entro la fine del mese.

Il piano inclinato dopo la quinta consultazione porta al voto, ma non in estate. Si affaccia la possibilità, paventata anche dal Quirinale, di voto in autunno. Questo periodo, come ribadito da Mattarella, comporta alcuni rischi: prima di tutto l’impossibilità di votare una manovra finanziaria entro il 31 dicembre (e visto i tempi di questo post- voto, la cosa pare più che credibile), con automatico esercizio provvisorio e aumento dell’Iva, e il timore di ottenere un risultato non distante da quello ottenuto il 4 marzo scorso: in autunno si voterebbe con il Rosatellum. E questo in fondo, sarebbe il peggiore risultato per noi elettori.

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