20 Settembre 2024

Fonte: Sole 24 Ore

di Barbara Gobbi

Il prossimo step della crisi dovrà essere gestito con tutta la prudenza possibile, per evitare nuove impennate dei casi. L’appello delle autorità mediche


La “Fase 2”? Non sappiamo quando sarà ma di certo non è dietro l’angolo. E dovrà essere per forza di cose graduale se vogliamo scongiurare il rischio di impantanarci in nuovi focolai di infezione. Lo suggerisce il rosario dei dati sgranato ogni sera dalla Protezione civile, che fotografa tra tante contraddizioni un rallentamento del trend e un inizio di discesa dell’epidemia da Covid-19 importante, ma oggi non ancora sufficiente per decidere il ritorno a una parvenza di normalità.
All’Italia, diventata suo malgrado caso-pilota sotto gli occhi del mondo intero che la segue a ruota nell’onda dei contagi, spetta anche in questo caso l’onere di tracciare la rotta, questa volta della ripresa. I pressing e i consigli di certo non mancano.

I moniti di Centro europeo di prevenzione e Oms
Il ministro della Salute Speranza – alle prese insieme a tutto il Governo con una delle decisioni più difficili della storia – ha appena ricevuto dalla commissaria Ue alla Salute Stella Kyriakides una prima anticipazione del documento con cui l’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) mette in guardia da allentamenti delle misure.
«È troppo presto – spiegano gli esperti europei – per abbandonare il distanziamento sociale nei Paesi Ue. Che prima dovrebbero assicurarsi di possedere adeguati ed efficaci sistemi di testing e sorveglianza della popolazione in grado di guidare e modulare le strategie di potenziamento o di allentamento delle restrizioni». Speranza prende nota: «Siamo ancora nel pieno dell’emergenza, occorrono cautela e gradualità per non vanificare i grandi sacrifici fatti finora”, commenta in risposta.
Analogo input alla massima prudenza arriva dall’Oms: «L’Organizzazione mondiale della sanità – ha spiegato Ranieri Guerra, consigliere dell’Organizzazione e membro del Comitato tecnico-scientifico consulente del governo – sta ancora dibattendo sulle linee guida da consegnare agli Stati membri in vista della ‘riapertura’. Di sicuro però prescriverà requisiti minimi da rispettare per poter cominciare a parlare di Fase 2, primo dei quali è saper identificare in 24-36 ore i casi sospetti con una diagnostica certa.

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In ogni caso – ha detto ancora Guerra – la raccomandazione sarà sicuramente di riaprire per fasi, a partire da quando ci saranno le condizioni minime: un primo via libera iniziale e poi un secondo step a distanza di un paio di settimane. L’idea è di procedere con riaperture successive così da poter contenere l’eventuale riaccendersi della fiammata epidemica a causa della prima o della seconda o della terza riapertura in serie».

Rischioso allentare prima di fine maggio
«Se nelle prossime settimane sarà confermato il rallentamento dei nuovi casi, con una certa spavalderia la ‘Fase 2′ potrebbe essere avviata tra fine aprile e inizio maggio, accettando però il rischio di una nuova impennata dei contagi. Se al contrario la linea vuole essere quella della gradualità e della prudenza, qualsiasi riapertura prima di fine maggio non si basa sulle dinamiche del contagio in Italia».
Così Nino Cartabellotta, presidente del think thank indipendente di politica sanitaria Fondazione Gimbe, traccia una stima del possibile allentamento delle misure sulla base del modello predittivo elaborato dalla Fondazione. Che ha fatto un’analisi della regressione utilizzando due variabili: l’incremento percentuale dei nuovi casi e il tempo espresso in giorni.

Il modello predittivo
Nell’impossibilità di prevedere il giorno del ‘contagio zero’, il modello predittivo costruito dalla Fondazione prevede che il 16 aprile l’aumento dei casi scenderà al 2%, il 27 aprile all’1%, il 7 maggio allo 0,5% e il 2 giugno allo 0,1%, soglia utilizzata a Hubei per allentare le misure in base all’andamento dei contagi.
Il confronto Gimbe è stato infatti effettuato con la provincia di Hubei che conta 58,5 milioni di abitanti e ha avuto una modalità di espansione iniziale dell’epidemia simile a quella italiana. Le curve di crescita dei contagi dimostrerebbero però che i risultati delle misure attuate in Italia sono lontani da quelli ottenuti in Cina. «Questa differenza – spiega Cartabellotta – è dovuta almeno a tre cause: da noi misure non tempestive, meno rigorose e più frammentate e minore aderenza della popolazione». Con il risultato che la curva del contagio sta rallentando, ma l’aumento dei nuovi casi – rilevano ancora da Gimbe – è ancora rilevante. Le misure di distanziamento sociale hanno alleggerito il carico sugli ospedali, ma il loro effetto sul numero totale dei casi è ancora modesto.
«L’allentamento delle misure – conclude Cartabellotta – dovrà essere graduale e differenziato per tipologia di intervento e, ove possibile, ‘personalizzato’ nelle varie Regioni monitorando strettamente l’insorgenza di nuovi focolai. Il ruolo dei dati nelle decisioni politiche dipenderà da quali indicatori sceglierà il Governo per l’avvio graduale della Fase 2, nella consapevolezza che, a differenza della Cina, non siamo in condizioni di applicare una sistematica tracciatura dei contatti tramite tecnologie avanzate e che i test sierologici non permettono ancora di fornire alcun patentino di immunità».

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