22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Giuseppe Sarcina

Se Washington vuole togliere spazio a Mosca e Pechino dovrà offrire alternative concrete. Joe Biden guarda con grande interesse a Draghi. Ma le gerarchie per ora restano altre


Un viaggio di otto giorni per cancellare quattro anni di Donald Trump. Era questo il proposito principale di Joe Biden all’inizio della sua prima visita in Europa. Concluso anche l’incontro più difficile, quello con Vladimir Putin, si può dire che il presidente americano abbia raggiunto l’obiettivo. Non era semplice. Non era scontato. Biden ha rivitalizzato il legame transatlantico; ha ottenuto una correzione di rotta della Nato, inserendo anche la «sfida» della Cina nella lista dei rischi; ha riaperto il dialogo con Erdogan e, soprattutto, attivato un confronto «pragmatico» con Putin.
In un certo senso è come se Biden avesse riparato e tirato a lucido la carrozzeria della politica estera americana, uscita come minimo ammaccata dalla stagione trumpiana. Ma d’ora in poi Washington dovrà misurarsi nel merito. Partiamo dal rapporto con il Cremlino. Biden torna alla Casa Bianca con due impegni importanti. Putin ha accettato di «avviare consultazioni» sulla sicurezza cibernetica, pur negando ogni coinvolgimento nei recenti attacchi contro aziende e infrastrutture americane. Inoltre salirà di livello il confronto sugli armamenti, promosso a «dialogo diplomatico strategico». Se ne occuperanno gruppi di lavoro guidati dal Segretario di Stato Blinken e dal ministro degli Esteri Lavrov.
Nel faccia a faccia Biden ha messo in guardia l’interlocutore: alla prossima incursione cibernetica, risponderemo nello stesso modo. Ci colpite un oleodotto? Noi faremo lo stesso. È un avvertimento molto duro ed è anche un cambio di passo. Finora l’Amministrazione Biden si era limitata a sanzionare solo figure dell’establishment di Mosca, esattamente come aveva fatto il governo Trump. Acqua fresca per Putin. In definitiva, quindi, siamo di fronte a un’altra scommessa. Trump aveva puntato sulle affinità elettive con l’autocrate di Mosca. Biden confida sulla possibile «convergenza» in alcune aree strategiche: ridimensionare le spese per mantenere giganteschi arsenali; stabilire una «pax» o almeno una tregua cibernetica; collaborare nell’antiterrorismo; lavorare insieme per stabilizzare le aeree di crisi: Afghanistan, Siria, Libia.
Biden ha anche spiegato qual è il suo disegno nel medio periodo: Cina e Russia hanno interessi strutturali contrastanti. Gli Stati Uniti possono inserirsi per evitare che la collaborazione di oggi tra Pechino e Mosca si trasformi in un solido e pericoloso asse geopolitico. Ma è un teorema tutto da dimostrare sul campo. E qui iniziano le difficoltà, anche per l’Unione Europea. Il numero uno degli Stati Uniti ha chiesto ai partner d’oltreoceano di formare «una lega delle democrazie» anti-Cina e di compattarsi per contenere le minacce russe. Per tutti vale la risposta del presidente francese Emmanuel Macron: siamo al cento per cento con gli Stati Uniti se si parla di sicurezza, ma non possiamo azzerare i rapporti economici con Mosca e Pechino.
Sarà il tema che, con tutta probabilità, ci accompagnerà finché Biden resterà alla Casa Bianca. Con diverse complicazioni. La prima: Cina e soprattutto Russia dividono la Ue. Da una parte abbiamo l’anti putinismo dei Paesi baltici, della Polonia, della Repubblica Ceca. Dall’altra l’atteggiamento più morbido di Germania, Italia e in parte Francia, fino all’estremo dell’Ungheria guidata dall’ultrà filo russo Viktor Orbán.
La seconda: «sicurezza» ed «economia» si sovrappongono sempre di più. Basti pensare alle telecomunicazioni, alla rete 5G, alle tecnologie per la rivoluzione verde, alle batterie, ai chip necessari per costruire i prodotti a più alto valore aggiunto, dai telefonini alle auto. E così via. In tutti questi casi la forza del mercato potrebbe spingere gli europei più verso la Cina che verso gli Stati Uniti. È una gara aperta e che diventerà ancor più serrata in prospettiva, vista la crescita tumultuosa del Paese di Xi Jinping anche nei settori più innovativi.
Se Washington vuole togliere spazio ai cinesi e ridimensionare l’influenza della Russia, dovrà offrire alternative concrete. Per esempio: intervenire con più decisione in Libia, cosa che per il momento non sembra in agenda. Oppure: dare concretezza a investimenti massicci nei Paesi europei, mentre il G7 si è concluso con un piano iperbolico da 40 mila miliardi di dollari a favore degli Stati più bisognosi. Nessuno, però, ha spiegato da dove arriveranno tutti questi soldi, visto che Usa e Unione Europea stanno già rastrellando le risorse disponibili per rilanciare le proprie economie. O ancora: bene la tregua dei dazi tra Stati Uniti ed Europa. Biden spinge per un accordo commerciale complessivo tra le due sponde dell’Atlantico. Ma è in grado di convincere i francesi e gli italiani ad accettare l’import dei prodotti agroindustriali made in Usa? Sembra un dettaglio laterale, ma nessuna amministrazione americana può concludere un accordo sul commercio che non comprenda agricoltura e settore alimentare.
Dopo il vertice di Ginevra si apre una fase tanto interessante quanto complicata, proprio perché il presidente Biden ha alzato la soglia globale delle aspettative, anche psicologiche. In questo scenario ci sarà bisogno di governanti pragmatici, pontieri capaci di trovare soluzioni. Anche per questo a Washington si guarda con grande interesse a Mario Draghi, sia pure all’interno della gerarchia consolidata dei rapporti con il Vecchio Continente. Su questo è meglio non farsi illusioni. Anche nel radar di Biden, prima dell’Italia per adesso vengono Gran Bretagna, Germania e Francia.

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