19 Settembre 2024

Oggi le imprese americane stanno soprattutto trasferendo produzioni dalla Cina (sempre più in conflitto con gli Usa e con un costo del lavoro triplicato in pochi anni), verso altri Paesi asiatici meno politicamente problematici e con salari più bassi: Vietnam, India, Malesia e altri.

Apple trasferisce una parte della produzione degli iPhone dalla Cina all’India, mentre iPad, auricolari AirPods e altri prodotti del gruppo ora cominciano a venire dal Vietnam. Come dal Vietnam vengono le console per videogiochi Xbox di Microsoft. E Google produrrà in questo Paese il suo nuovo smartphone Pixiel. Anche la Boeing, che fin qui ha investito molto in Cina, dove ha cinquemila dipendenti, sta riorientando le sue scelte verso l’India dove ha trasferito parte della gestione della finanza e delle risorse umane. Lo choc dell’interruzione delle catene di approvvigionamento seguito alla pandemia e il conflitto geostrategico con la Cina hanno consentito a Joe Biden di ottenere dal Congresso il varo di un imponente piano di politica industriale che, rompendo i dogmi liberisti, vuole riportare in America molte produzioni che, con la globalizzazione erano finite all’estero.
In realtà, però, questo avverrà per limitati settori strategici come i microprocessori: gli incentivi per i nuovi impianti Usa sono enormi, ma il Paese ha pochissima manodopera specializzata e la stretta sull’immigrazione non aiuta. Oggi le imprese americane stanno soprattutto trasferendo produzioni dalla Cina (sempre più in conflitto con gli Usa e con un costo del lavoro triplicato in pochi anni), verso altri Paesi asiatici meno politicamente problematici e con salari più bassi: Vietnam, India, Malesia e altri.
Trasferimenti complessi e che probabilmente saranno solo parziali visto che, mentre la Cina in genere controlla l’intera supply chain dei suoi prodotti (garantendo, quindi, l’intero ciclo manifatturiero dalla materia prima alla consegna del prodotto), gli altri Paesi non possono fare altrettanto. E chi va in India deve affrontare anche una burocrazia arcigna, che il governo Modi fatica a riordinare. Ma che la volontà sia quella di spingere per un progressivo abbandono della Cina è dimostrato anche dal caso della Ford, l’unico grande gruppo che ha fatto un’operazione di segno opposto: volendo puntare sull’auto elettrica oggi sviluppata soprattutto in Cina, ha trasferito qui una parte di attività industriali finora basate in India. Col risultato di vedersi bocciare dal governatore della Virginia, Glenn Youngkin, un piano (incentivato) per la costruzione di una fabbrica di batterie perché l’investimento verrebbe fatto insieme a un gruppo cinese.

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