25 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

ambiente

di Veronica Ulivieri

A Strasburgo il voto del Parlamento Europeo sull’intesa per limitare l’aumento della temperatura globale. Una guida per rispondere a tutti gli interrogativi

L’accordo di Parigi, la ciambella di salvataggio che dovrebbe cercare di proteggerci – non sappiamo ancora con quale grado di successo – dagli effetti peggiori dei cambiamenti climatici, è realtà. Il Parlamento europeo lo ratifica domani alla presenza del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, impegnandosi così concretamente a mantenere la promessa di riduzione delle emissioni fatta a dicembre 2015 durante l’ultima Conferenza sul clima.
Con il sì dell’Ue si soddisfano entrambi i requisiti per l’entrata in vigore dei trattati a livello globale, ossia la ratifica da parte di un minimo di 55 Paesi rappresentativi di almeno il 55% delle emissioni. Prima dell’Europa si era arrivati a 62 Paesi, senza però raggiungere la soglia delle emissioni richiesta, che ora viene superata con l’adesione definitiva dell’Ue. Da solo, il vecchio continente rappresenta infatti circa il 12% dei gas serra rilasciati in atmosfera a livello mondiale.

CHE COSA PREVEDE L’ACCORDO?
Alla Cop21, 195 Stati di sono accordati per mantenere l’aumento della temperatura terrestre “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali”, con l’impegno di “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi”. I Paesi firmatari hanno anche deciso di mettere fine il prima possibile all’aumento delle emissioni di gas serra e arrivare nella seconda parte del secolo a una situazione in cui la produzione di nuovi gas climalteranti sarà abbastanza bassa da essere assorbita naturalmente dall’ambiente. Nel testo dell’accordo si prevede anche che i Paesi più ricchi dovranno versare 100 miliardi di dollari ogni anno a quelli più poveri per sostenerli nello sviluppo di fonti energetiche a basso impatto ambientale. Ogni cinque anni si farà il punto della situazione sui progressi fatti.

COSA SI È IMPEGNATA A FARE L’EUROPA?
L’Europa si è impegnata a tagliare le proprie emissioni del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 in tutti i settori dell’economia. Un obiettivo che poi dovrà essere convertito in un piano d’azione concreto comunitario e in politiche nazionali, focalizzati su diversi aspetti: dalle energie rinnovabili all’efficienza energetica, dall’edilizia ai trasporti.

PERCHÉ È IMPORTANTE CHE LA RATIFICA DA PARTE DEL PARLAMENTO EUROPEO SIA ARRIVATA?
Il via libera di Strasburgo viene dopo la ratifica di Cina e Stati Uniti, avvenuta il 3 settembre, e dopo quella dell’India, che ha preceduto i deputati europei di pochi giorni. Un voto che arriva giusto in tempo per permettere ai negoziatori comunitari di sedere al tavolo delle trattative a Marrakech a novembre, durante la prossima Conferenza sul clima. In quella sede si inizierà a trattare su come i Paesi dovranno in concreto mantenere gli impegni presi a Parigi: se nel 2015 si era deciso il cosa, quest’anno si dovrà negoziare sul come dell’accordo. Il limite ultimo per una ratifica che dia accesso alle negoziazioni è il 7 ottobre 2016.

MA L’EUROPA NON ERA LA PRIMA DELLA CLASSE?
Sì, è infatti questo ritardo ha provocato non poche polemiche tra gli ambientalisti, che hanno visto cambiare il ruolo dell’Europa da locomotiva delle trattative a soggetto passivo ridotto ad accodarsi agli altri Paesi. Un quadro in cui hanno pesato le resistenze di Paesi come la Polonia. La repubblica dell’est Europa ricava il 90% della sua energia elettrica dal carbone e considera gli accordi di Parigi come una minaccia al proprio sviluppo economico.

E L’ITALIA? CHE RUOLO HA AVUTO?
Secondo gli ambientalisti l’Italia non ha adottato una posizione chiara nelle trattative, non mettendosi esplicitamente di traverso, ma cercando allo stesso tempo di ritardare la ratifica per ottenere target nazionali blandi in cambio del proprio sì. Sulla spartizione degli obiettivi europei a livello nazionale si sta trattando. Per vedere l’applicazione concreta di misure di riduzione delle emissioni nei Paesi membri si dovrà aspettare che tutti e 28 abbiano completato la ratifica anche a livello nazionale. Senza il consenso di tutti gli Stati, infatti, l’Europa ha le mani legate. Al momento in Europa hanno dato il via libera all’applicazione dell’accordo Austria, Francia, Germania, Ungheria, Portogallo e Slovacchia, mentre l’Italia ha annunciato di essere prossima a questo passo. Secondo il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, l’approvazione del ddl di ratifica da parte del Parlamento avverrà in “un tempo ragionevole”.

GLI ACCORDI DI PARIGI SARANNO SUFFICIENTI A SCONGIURARE GLI EFFETTI PEGGIORI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI?
Secondo gli ambientalisti e diversi scienziati purtroppo no. Uno studio condotto da sette illustri studiosi di peso internazionale, tra cui l’ex capo del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu (Ipcc) Robert Watson, sostiene che i target stabiliti alla Cop21 andrebbero raddoppiati, se non addirittura triplicati. Rispettando alla lettera gli impegni attuali, infatti, già nel 2050 il riscaldamento globale supererà i 2 gradi C. Con l’accordo attuale, insomma, l’obiettivo dei 2 gradi è una missione impossibile: per raggiungerlo le emissioni in atmosfera, oggi pari a 54 miliardi di tonnellate, nel 2030 dovrebbero attestarsi a quota 42 miliardi. Si stima che applicando correttamente gli accordi saranno però molto maggiori: circa 65 milioni di tonnellate.

CHI STA SOFFRENDO DI PIÙ GLI EFFETTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI?
Tra i Paesi maggiormente colpiti ci sono le piccole isole del Pacifico, in balìa dell’innalzamento del livello del mare, ma anche, come nelle Filippine, di eventi meteo estremi. La Papua Nuova Guinea è la patria dei primi profughi climatici al mondo: gli abitanti delle isole Carteret hanno dovuto abbandonare le loro case, in fuga dal riscaldamento globale.

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