Assolto in appello il sindacalista accusato di violenza sessuale nei confronti di una hostess. È assurdo porre un limite massimo al tempo di reazione perché spesso una vittima non reagisce affatto. E poi la non reazione della donna non deve essere scambiata per consenso
Qualche giorno fa, mentre mi trovavo in mezzo al traffico all’ora di punta, un uomo in scooter si è accostato alla mia auto e mi ha aggredita con improperi sessisti per una mia manovra un po’ azzardata, ammetto. La violenza delle sue parole e del suo tono è stata tale che sono riuscita a dire una sola cosa: «Addirittura». Quelle offese mi hanno paralizzata.
Ripenso a questo episodio leggendo le motivazioni della sentenza che ha assolto in appello il sindacalista accusato di violenza sessuale — «repentini toccamenti e baci», li ha definiti la Corte — nei confronti di una hostess. La ormai celebre sentenza dei 20-30 secondi: la «finestra temporale che le avrebbe consentito anche di potersi dileguare», dice la sentenza. Dunque, i giudici riconoscono i «toccamenti e baci», ma ritengono che non si configuri il reato perché a tali atti la donna non si è opposta, non si è sottratta, perché non ci sono state minacce nei suoi confronti e perché la posizione dell’uomo non era di «supremazia» (affermazione, quest’ultima, discutibilissima ad avviso della difesa, essendosi la hostess rivolta a lui per una consulenza lavorativa). Non solo. La Corte sottolinea «la infondatezza di opzioni ermeneutiche intese ad arricchire il catalogo della condotte sessualmente violente».
Qui non si tratta di arricchire cataloghi, né di fare interpretazioni arbitrarie. Si tratta di tenere il punto su due questioni. Prima: è assurdo porre un limite massimo al tempo di reazione perché spesso una vittima non reagisce affatto (vedi la teoria polivagale di Porges, secondo cui il sistema nervoso di chi sta subendo uno stupro può rispondere con l’immobilismo, come meccanismo di difesa). Seconda: la non reazione non deve essere scambiata per consenso, il grande assente di questa vicenda. Tuttavia, in un Paese dove il consenso non ha ancora trovato un inquadramento giuridico — andrebbe modificato l’articolo 609-bis del Codice penale — c’è spazio per sentenze come questa. Sentenze che sembrano insinuare che chi tace, o chi non reagisce, forse, in fondo, acconsente.