Il gruppo taglia costi per 4 miliardi, al via le proteste: sciopero e assemblee. Sforbiciata del 10% agli stipendi. I lavoratori del gruppo nel Paese si fermano oggi per un’ora, bloccando la produzione. «Manca un piano chiaro»
I vertici di Volkswagen procedono spediti verso un piano di ristrutturazione senza precedenti negli 87 anni di storia del gruppo. L’obiettivo del management è riportare i costi sotto controllo e migliorare decisamente la competitività. Il piano punta a risparmi per 4 miliardi di euro e include la chiusura di almeno tre stabilimenti in Germania, il taglio di decine di migliaia di posti di lavoro e una riduzione degli stipendi del 10%, con un blocco di ogni aumento fino al 2026. La notizia è filtrata domenica attraverso i media tedeschi ed è stata resa ufficiale lunedì dalla presidente del comitato aziendale (il sindacato interno), Daniela Cavallo.
La leader del Betriebsrat, ha riferito il quotidiano economico Handelsblatt, ha comunicato ai dipendenti che «il Consiglio di amministrazione prevede di tagliare tutti gli impianti rimanenti in questo paese». Tagli che riguarderebbero prodotti, volumi, turni e intere linee di assemblaggio. «Tutti gli stabilimenti Vw tedeschi sono interessati. Nessuno è al sicuro», ha avvisato Daniela Cavallo, che ha accusato il management di scaricare sui lavoratori le conseguenze di scelte discutibili: da una transizione verso l’elettrico mal gestita a politiche di prezzo sbagliate. «La dirigenza non ha ancora presentato un piano chiaro per il futuro», ha insistito Cavallo. I dipendenti in Germania sono poco meno di 300mila. Ma qualsiasi riduzione sostanziale dell’occupazione in Vw potrebbe avere gravi ripercussioni sociali. Non solo per l’azienda, ma per l’intera economia tedesca. E forse europea.
La replica del top management
I vertici dell’azienda hanno difeso la scelta di procedere con una pesante ristrutturazione, ma non hanno commentato l’ipotesi di tagli per decine di migliaia di posti. Il ceo del marchio Vw, Thomas Schäfer, ha dichiarato che i costi «sono attualmente dal 25% al 50% più alti di quanto avevamo previsto. Vuol dire che gli stabilimenti tedeschi sono due volte più costosi della concorrenza».
Schäfer ha ribadito che l’obiettivo rimane l’incremento della redditività, ovvero un margine operativo al 6,5% entro il 2026 (alla fine del primo semestre era del 2,3%, in calo dal 3,8% del 2023, e contro l’8,4% di Skoda, altro marchio del cosiddetto Brand Group Core di Vw). Sarebbe l’unico modo per finanziare i necessari investimenti futuri. Il responsabile delle risorse umane, Gunnar Kilian, ha puntato il dito sul comitato aziendale: «La situazione è grave e la responsabilità enorme». La legge tedesca sulla codeterminazione fa sì che i dipendenti abbiano un potere negoziale molto alto. Nel consiglio di sorveglianza del gruppo Volkswagen su 20 membri totali, 10 sono rappresentanti dei lavoratori e 10 degli azionisti (tra questi c’è, con il 20% delle azioni, il Land della Bassa Sassonia, a guida Spd).
Scende in campo il governo
La situazione della Volkswagen ha ovviamente alzato la soglia di attenzione del governo di Berlino. «Per ora non ci sono notizie ufficiali e dobbiamo aspettare che Vw chiarisca», ha commentato il portavoce del cancelliere tedesco Olaf Scholz, Wolfgang Büchner. Il portavoce ha ricordato che Scholz ha già detto nelle scorse settimane che «le eventuali decisioni sbagliate del management non devono ricadere sulle spalle dei lavoratori e che si debbano salvaguardare i posti di lavoro».
«Il governo tedesco è in stretto contatto con Volkswagen in merito alla situazione attuale», ha dichiarato a LaPresse una portavoce del ministero dell’Economia. «L’industria automobilistica è una pietra miliare della Germania. Le case automobilistiche e i loro fornitori sono importanti datori di lavoro per molti dipendenti, motori della prosperità nelle regioni di tutto il Paese e motori dell’innovazione al di là dei confini del settore. Ciò è tanto più vero per Volkswagen, che è il secondo produttore di automobili al mondo». Nessun commento sulle misure di austerità, in quanto «l’azienda è attualmente in trattative con il comitato aziendale».
«L’azienda ha una grande responsabilità nei confronti dei dipendenti e delle sedi. È quindi importante che le decisioni vengano prese in stretta consultazione con le parti sociali», ha concluso la portavoce.
Dentro le cause della crisi
La realtà è che il simbolo dell’industria tedesca affronta da diversi trimestri le forti pressioni che derivano dagli alti costi dell’energia e del lavoro (il più alto in Europa), e dall’indebolimento della domanda in Europa e soprattutto in Cina. Per decenni il Regno di Mezzo è stato il mercato numero uno, ma la ritirata dei motori a combustione (da luglio le auto a nuova energia, ovvero a batteria e ibride plug-in, rappresentano più del 50% delle nuove immatricolazioni, in Cina) e l’avanzata travolgente di elettriche pure e ibride dei produttori locali mettono in crisi Vw. Soffrono anche Mercedes-Benz, Bmw e le giapponesi Toyota e Nissan. I risultati del gruppo Vw dei primi sei mesi del 2024, su scala globale, hanno visto vendite in calo (-2,4% a 4,3 milioni), utile operativo -11,4% a 10,1 miliardi, ma soprattutto flusso di cassa negativo (-0,1 miliardi contro 2,6 di un anno prima) e liquidità netta a 31,3 miliardi (-9).
Il nodo gordiano nel Vecchio continente è il passaggio verso l’auto a batteria, imposto dall’Unione europea (con sanzioni che scattano se non si rispettano i limiti alle emissioni di CO2 della totalità delle auto prodotte; nel 2025 i limiti scenderanno ancora, con rischi di sanzioni per miliardi a carico dei produttori, ndr). La transizione, fortemente voluta a Bruxelles per centrare l’ambizioso obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050, ha spinto le case europee a investimenti di centinaia di miliardi, senza che ci fosse ancora un mercato pronto a recepire i nuovi prodotti.
L’errore di Volkswagen, reduce dallo scandalo Dieselgate scoppiato nel 2015 negli Stati Uniti, è stato probabilmente quello di avere creduto più di tutti che l’auto elettrica a batteria fosse l’unica opzione, sin da subito, guardando all’annunciata invasione cinese. La realtà si è vista soprattutto quando a dicembre il governo tedesco ha chiuso i rubinetti degli incentivi per ragioni di bilancio e gli acquisti di vetture elettriche sono crollati.
Che cosa faranno i sindacati?
Tornando ad oggi, la distanza tra i lavoratori e il management guidato dal ceo del gruppo, Oliver Blume, è ormai evidente. I sindacati hanno organizzato assemblee in undici stabilimenti, dove aggiorneranno i dipendenti sui progressi delle trattative con l’azienda. L’inizio di queste proteste dà il via a una settimana cruciale per Volkswagen, che si prepara a pubblicare mercoledì 30 ottobre i risultati del terzo trimestre. Si prevede un calo sia nelle vendite che nei profitti. Quanto alla tregua tra i vertici del colosso automobilistico e i metalmeccanici nel loro complesso scadrà il 1 dicembre. Senza un accordo concreto, i lavoratori potrebbero avviare scioperi negli stabilimenti tedeschi, con pesanti conseguenze per la produzione e, ovviamente, per i conti dell’azienda. Come lasciarono il segno gli scioperi del sindacato americano Uaw nell’autunno di un anno fa contro le Big Three di Detroit, costrette poi a discutere i nuovi contratti.
IG Metall, potente sindacato dei metalmeccanici, ha condannato duramente la ristrutturazione, descrivendola «un colpo al cuore» per i dipendenti Vw. Il dirigente regionale Thorsten Gröger ha già indetto azioni di protesta, inclusi scioperi e manifestazioni. La posizione è chiara: l’offerta salariale per l’intero settore è insufficiente. I lavoratori chiedono un aumento del 7% per il prossimo anno, oltre a un incremento forfettario di 170 euro per gli apprendisti. Su questi punti circa 3,9 milioni di metalmeccanici tedeschi sono stati chiamati a scioperare martedì. Ma sono previste manifestazioni durante la notte anche presso lo stabilimento Volkswagen di Osnabrück, a rischio di chiusura e che rientra sotto il contratto collettivo del settore metallurgico, e non sotto quello specifico del costruttore.
Quali sono gli stabilimenti a rischio
Il più importante stabilimento tedesco della Volkswagen è nel quartier generale del gruppo, a Wolfsburg. Conta 60mila dipendenti e tasso di utilizzo intorno al 56%. Il predecessore di Blume, Herbert Diess aveva presentato un progetto per un costoso raddoppio che avrebbe affiancato produzione di auto termiche ed elettriche. Blume lo ha cancellato. Poi Emden, 8mila dipendenti, dove si costruiva il Maggiolino e oggi le elettriche come la ammiragli ID.7. Osnabrück, 2.300 dipendenti, produce T-Roc e Porsche 718, nel 2023 ha prodotto 28mila unità con una capacità teorica di 100mila. Braunschweig, 7mila dipendenti, produce assali, sistemi di guida e componenti di batterie. Hannover, capitale della Bassa Sassonia, 13.500 dipendenti, produce veicoli commerciali ma anche l’ID.Buzz; potrebbe arrivare a 200mila unità all’anno ma nel 2023 non è andata oltre 154mila (Stephan Weil, ministro presidente della Bassa Sassonia e membro del consiglio di sorveglianza di Vw è stato sindaco di Hannover). Zwickau è la prima fabbrica per auto elettriche del gruppo: l’anno scorso ha prodotto 247mila vetture ma la massima capacità sarebbe 360mila. Chemnitz, 1.800 dipendenti, produce motori a combustione interna e componenti. Kassel, 15.500 dipendenti, la più grande fabbrica di componenti Vw, dalle trasmissioni ai sistemi di scarico a parti di carrozzeria. Salzgitter, produce rotori e statori, ovvero parti per i motori elettrici, ma nel 2023 ha prodotto 806mila motori a combustione contro poco meno di 400mila rotori e statori. Infine, la Fabbrica di vetro di Dresda. Gläserne Manufaktur, progettata solo per produrre 20mila veicoli all’anno, ma l’anno scorso sono state costruite solo 6.000 ID.3. (fonte: Automobilwoche)
La reazione del mercato
Alla fine di settembre Volkswagen ha annunciato il secondo profit warning in appena tre mesi. Anche i marchi premium del gruppo, come Audi (con la fabbrica di Bruxelles per la quale il gruppo cerca investitori, ma che certamente non produrrà dal 2025 il suv elettrico Q8, mettendo a rischio oltre 3.000 posti di lavoro, ndr) e Porsche, (utile operativo -26,7% nei primi nove mesi del 2024a a 4,04 miliardi) che per anni sono stati le sue galline dalle uova d’oro, navigano adesso in acque insidiose. In particolare, Porsche ha fatto sapere di valutare tagli ai costi e una revisione della gamma di modelli, in seguito, ancora una volta, a un crollo della domanda in Cina.
«Il piano di Wolfsburg va ben oltre le aspettative del mercato», osserva Daniel Schwarz, analista di Stifel. «Credo che questo rifletta una combinazione unica di fattori sfavorevoli: la concorrenza in Cina, l’indebolimento della domanda in Europa, soprattutto per i veicoli elettrici a batteria, una regolamentazione più severa». Lunedì 28 ottobre il titolo ha chiuso in rosso a Francoforte: -1,34%, ma il calo è di oltre il 19% da inizio d’anno. L’indice europea di settore ha chiuso poco sotto la parità e da inizio d’anno è in rosso del 5,2%.