Perché l’asse con Meloni è per la presidente della Commissione un azzardo
C’è più di un’affinità elettiva tra il discorso con cui il presidente del Consiglio ha aperto la campagna di FdI per le elezioni europee e le cose dette lunedì sera da Ursula von der Leyen nel primo dibattito con i sette nani, gli Spitzenkandidat delle varie famiglie politiche dell’Unione. Entrambi, infatti, sia pure in modi diversi, hanno postulato un cambio di maggioranze in senso conservatore in Europa. Giorgia Meloni ha scommesso addirittura su un improbabile rovesciamento politico copernicano, tale da mandare all’opposizione socialisti e verdi. La presidente della Commissione invece ha aperto per la prima volta a un’alleanza con Ecr, il gruppo dei Conservatori e Riformisti di cui Meloni è leader, per assicurarsi i voti necessari alla sua riconferma. Si tratta di due scommesse molto rischiose.
Quella di Meloni perché fa finta di ignorare l’elefante nella stanza, l’estrema destra di Identità e Democrazia dove albergano i vari Salvini con il suo Vannacci-Catenacci, Le Pen e gli «intoccabili» tedeschi di Afd. Senza questa non ci potrebbe essere infatti alcuna maggioranza di centro-destra, ma con questa nessuno a cominciare dal Ppe, e von der Leyen lo ha ripetuto a chiare lettere, pensa neppure lontanamente un approccio. Ma anche l’apertura soft di von der Leyen a Ecr appare strategicamente un azzardo. «Cosa?», ha esclamato stupito il verde olandese Bas Eickout. Detto altrimenti, strizzando l’occhio alla destra, la presidente della Commissione rischia di alienarsi socialisti, liberali e verdi, senza i cui voti non avrebbe alcuna maggioranza. In realtà, a rendere rischiose le scelte di Meloni e von der Leyen è il discorso del 25 aprile di Emmanuel Macron alla Sorbona. Dove, attorniato dai vertici del Paese a sottolineare che quella è una posizione sistemica, egli ha lanciato il messaggio di un radicale cambio di paradigma, senza il quale l’Europa può morire: «Dipende solo dalle nostre scelte qui e ora».
Di più, Macron ha di fatto rivendicato la primazia dei capi di Stato e di governo nelle scelte strategiche e nelle nomine, tanto più in una fase cruciale per i destini d’Europa. Il corollario dell’intervento è che, anche uscendo indebolito dalle urne di giugno, il capo dell’Eliseo non rinuncerà a scegliere lui, insieme ai leader dei Paesi più importanti, il nuovo o la nuova Presidente della Commissione, tenendo in mente che le sfide da affrontare richiedono personalità di grande spessore e visione politica. Qualità che Macron non sembra riconoscere a von der Leyen, la quale peraltro si appella alla legittimità di una procedura, quella degli Spitzenkandidat, rinnegata dalla sua stessa nomina nel 2019, voluta proprio da Macron. Visto che il cancelliere Scholz ha già scelto di appoggiarlo su questa linea, appare più evidente l’azzardo italiano: «Meloni — commenta un diplomatico europeo — ha scelto di correre da capo di una fazione politica, ma così sminuisce il suo ruolo di leader di uno dei Paesi fondatori e rischia di non influire sulle scelte del Consiglio europeo».