Fonte: Corriere della Sera
di Marco Cremonesi
Il presidente del Veneto: Ho ricevuto la bozza ieri alle 2 del mattino con richiesta di parere entro le 12. Non è vero che noi sapevamo in che modo avrebbero chiuso
«Mi spiace constatare che anche questa volta non siamo riusciti a costruire un provvedimento con il governo». Luca Zaia, il presidente del Veneto, spera ancora «in un ripensamento in zona Cesarini» ma non nasconde una certa delusione: «Pensavo che si sarebbe potuto lavorare insieme».
E invece?
«E invece la musica è stata la stessa di sempre: il governo ci convoca, arriva un testo preconfezionato, lo approvano. La nostra voce, non c’è».
Il ministro Boccia ha detto che si stupisce dello stupore delle Regioni, che sapevano che cosa c’era nel decreto…
«Non è vero che sapevano le modalità con cui sarebbero stati chiusi i comuni. Se tutti i presidenti di Regione, con firma di Bonaccini, hanno avuto da ridire, una ragione ci sarà. Per me, il sistema migliore è il lavorare su bozze. Io la bozza l’ho ricevuta ieri alle 2.30 del mattino con la richiesta di un parere entro ieri a mezzogiorno».
Non si rischia una moltitudine di regole diverse che confondono i cittadini?
«Premessa dogmatica: la salute viene prima di tutto, il Covid non è uno scherzo, il controllo dei contagi passa attraverso il rispetto delle regole che conosciamo: mascherina, niente assembramenti, igiene. E certo, nel momento in cui queste regole non vengono rispettate, occorre intervenire con misure restrittive».
Ma voi non le volevate meno restrittive?
«A scanso di equivoci, ricordo che io pur essendo in zona gialla ho adottato autonomamente provvedimenti restrittivi unici a livello nazionale: chiusura di tutti i negozi la domenica, negli altri giorni un solo cliente ogni 20 metri quadri, chiusure delle medie e grandi strutture di vendita. Rendo l’idea?».
Perché ce lo ricorda?
«Sento tutte queste voci sull’irresponsabilità delle regioni, e un po’ mi stupisce».
Parla delle dichiarazioni della ministra Azzolina sul regionalismo delle disuguaglianze?
«Ma sì, Azzolina è siciliana e a me sembra strano sentir parlare una siciliana contro l’autonomia. Un grande suo conterraneo come don Sturzo diceva “Io sono unitario, ma federalista impenitente”. Forse Azzolina dovrebbe rileggerlo».
Il capo di gabinetto del ministro Boccia dice che le regioni del Nord chiedono l’autonomia ma quando sorgono i problemi preferiscono il centralismo.
«Ma a lei pare? Per me, una cosa del genere dal capo di gabinetto del ministero agli Affari regionali grida vendetta».
Insomma, il Dpcm proprio non va?
«Questo è un decreto topico, entra nel periodo delle festività, del picco influenzale in arrivo a gennaio, della campagna vaccinale più grande di sempre. Per nessun governo sarebbe facile da scrivere. Senza le Regioni, è ancora più difficile. Ma se la vicenda Covid arriverà fino ad aprile e pensiamo di gestirla con Dpcm e ordinanze, temo che l’insofferenza dei cittadini diventi grande».
In che senso?
«A marzo andavamo sui balconi a cantare “andrà tutto bene”, avevamo paura di morire. Ora, sembra ormai che il Covid sia un problema di chi è in ospedale. Va riscritto un grande patto sociale. E occorre una campagna di informazione importante».
Ma per i governatori cosa non va nel Dpcm?
«Il divieto di uscita dai comuni il 25, il 26 e il primo gennaio senza deroghe. Penso agli anziani: sono da tutelare al massimo, ma nei comuni piccoli saranno in casa da soli a vedere in televisione gli assembramenti nelle città. Se il presupposto è la sanità pubblica, il confronto tra un comune di poche centinaia di abitanti e uno da tre milioni come Roma, non regge: chiudi tutto, ma ci sono recinti da tre milioni di persone».
Che cosa manca nel decreto?
«Una dichiarazione di guerra agli assembramenti di ogni genere e specie. In maniera sistematica, cosa che di certo non facciamo chiudendo i confini comunali tre giorni».