Fonte: Huffington Post
di Federica Fantozzi
Non concede quasi nulla se non la vice segretaria (ma non vicaria). Le correnti Pd ribollono: “Congresso nel 2023? Rischiamo di essere in un’altra era politica”. Ma l’odg è approvato all’unanimità
“Io rivendico”. La replica di Nicola Zingaretti è un fiume in piena per spezzare l’assedio differenziato, ma circolare delle donne, che ancora furibonde chiedono una vice-segretaria “vicaria”, e delle correnti, soprattutto quelle sospettate di ”renzismo a distanza”. Ma anche per sgombrare l’orizzonte da tentazioni di logoramento della sua leadership: “Le scorse primarie sono state nel marzo 2019, le prossime saranno nel 2023. Nel frattempo discutiamo”. A partire dall’assemblea nazionale del 13 marzo. Però con “rispetto”, “responsabilità”, “chiarezza”, “regole”, “niente caricature”.
Tuttavia, se il segretario del Pd riesce a far rientrare almeno ufficialmente il dissenso femminile, la tregua tra le diverse anime del partito appare fragile. L’ordine del giorno conclusivo della lunga direzione convocata online, che prevede soltanto una vice-segretaria donna – carica già prevista dallo statuto – e una riflessione sulla “guida duale” come nella Spd e nei Verdi tedeschi, viene approvato all’unanimità. Ma lascia tiepide diverse delegate, che preferiscono non votare. Mentre sul versante degli equilibri interni, tutti aspettano il 13 marzo. Matteo Orfini protesta: “Una scorrettezza parlare di primarie nel 2023, il segretario corregga”. Mentre Base Riformista, la corrente che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti, legge le parole di Zingaretti come un’autodifesa: “Congresso nel 2023? Rischiamo di essere in un’altra era politica”.
Il convitato di pietra è un sondaggio Swg per La 7, che molti delegati conoscono prima che esca, e che con la discesa in campo di Conte vede i Cinquestelle al 22% con il Pd al 14,2%, ovvero un travaso di 4 punti dal secondo al primo. Uno scenario che agita le acque. “Sono preoccupata – ammette Lia Quartapelle – Se rimaniamo fermi, rischiamo che il sondaggio si avveri. Dobbiamo agire per restituire centralità al Pd”. Zingaretti però chiude al congresso anticipato, pure ventilato da Gianni Cuperlo. E avvisa: “Non chiedo abiure, siamo tutti ex di qualcosa, scommettiamo sul pluralismo ma senza le ricostruzioni di queste ore. Non possiamo arrivare a ottobre con una battaglia politica fuori e noi implosi in una discussione interna”.
Parità di genere: tre richieste per i primi 100 giorni del governo Draghi
Il tema delle donne c’è, ma come richiesta a Draghi di un “segnale di discontinuità”: tre provvedimenti nei primi 100 giorni. La legge sulla parità salariale, l’operatività del fondo per l’imprenditoria femminile, il “reddito di libertà” per le vittime di violenza. “Tre scelte di campo per parlare al Paese” scandisce l’inquilino del Nazareno. E un modo per spostare il dibattito sui contenuti anziché sugli organigrammi. Non un accenno, invece, al tema rovente della discussione: se la vice-segretaria donna, il cui arrivo pare scontato, sarà “vicaria” – come chiedono Giuditta Pini, Lia Quartapelle, Enza Bruno Bossio – né tantomeno all’ipotesi di dimissioni di Andrea Orlando (che però in diverse avversano). Da quest’orecchio il leader Dem non ci sente: rimane convinto che avere un numero due contemporaneamente al governo sia un vantaggio. Lo stesso ministro del Lavoro si divincola dal vestito che gli viene cucito addosso: “Non la prendo come un fatto personale, non ostacolo riassetti ma siano funzionali”.
A sera, si vota un ordine del giorno più morbido, in cui confluiscono i testi di Cecilia d’Elia, portavoce della Conferenza delle Donne (nonché candidata più accreditata per il ruolo) e di Titti Di Salvo, della corrente di Base Riformista, dove si chiede “la nomina di una vice-segretaria donna e più in generale… una riflessione sull’ipotesi di guida duale”. Ovvero doppio segretario uomo e donna come per la Spd e i Verdi in Germania. Mentre la Linke è gestita addirittura da due donne.
Dieci i punti complessivi, tra cui “attuare il principio della parità di genere in partito, governo, posizioni apicali”, ma anche nella “selezione dei gruppi dirigenti locali e nazionali”, il divieto di usare il simbolo Pd nei convegni in cui i relatori siano tutti uomini, una mobilitazione nei circoli l’8 marzo per diffondere questo new deal. Che convince alcune delle delegate, ma non tutte. Di Salvo è abbastanza soddisfatta: “Importante che siano stati affrontati i temi dell’occupazione femminile e della democrazia paritaria. Poi, la vicesegretaria è già prevista dallo statuto, va fatta attenzione a rappresentare il pluralismo”. Vota contro Giuditta Pini: “Volevo inserire la parola “vicaria”, la presidenza lo ha dichiarato inammissibile e mi ha tolto la parola”. Monica Cirinnà chiede piuttosto una capogruppo donna in Parlamento. Laura Boldrini li vorrebbe a rotazione. Alessia Rotta insiste sul pluralismo, ovvero una vice-segretaria che appartenga alla minoranza. In questo caso, si fanno i nomi di Debora Serracchiani o Alessia Morani.
Tra vocazione maggioritaria e alleanze strategiche
L’insofferenza del leader ha tanti destinatari. Base Riformista, sul piede di guerra per una gestione più “condivisa” del partito. Ma anche i sindaci del Nord, il fiorentino Dario Nardella in testa, e il capogruppo “eterodosso” al Senato Andrea Marcucci. “Il lunedì si chiede di cambiare il codice degli appalti, il martedì si dice che Salvini è un europeista, il mercoledì è un problema la rifondazione di M5S…”.
Non ci sta il segretario ad andare con “la cenere sul capo”, ad apparire come il leader degli sconfitti: “Sarebbe stravagante. E’ stato giusto difendere Conte, ora siamo in una fase nuova. Abbiamo tirato fuori l’Italia da una condizione di pericolo democratico, con una nuova ricollocazione in Europa”. Non ci sta ad apparire come l’annacquatore dell’identità Dem: “La Lega ha rinnegato la sua identità sovranista, vedremo se sarà coerente. Il Pd ha rinunciato alla vocazione maggioritaria nel marzo 2018 (le scorse elezioni, ndr) quando ha perso la bussola, confuso l’orgoglio con il settarismo, si è isolato, e l’esito è stato una sconfitta storica”. Rivendica la strategia dell’alleanza con i Cinquestelle, ricordando “le centinaia di messaggi di sindaci e governatori che mi scongiuravano di ampliare il campo”. Sottolinea: “Salvini è al governo ma bombarda il quartier generale come ai tempi del Papeete, Meloni è all’opposizione ma sono pronti a ricompattarsi alle urne”.